Una pace da ricostruire

Ancora scontri e morti nel Paese. E mentre il presidente Ouattara si appresta a giurare, il suo rivale Gbagbo, oggi detenuto, dovrà rispondere in tribunale dell’accusa di crimini di guerra
costa d'avorio sfollati

Una pace ottenuta col sangue. È quella che, forse, è stata raggiunta in Costa d’Avorio, dopo l’esilio forzoso di Laurent Gbagbo, uno dei due presidenti che si sono disputati per cinque mesi la guida del Paese dopo le elezioni dello scorso novembre. Deposto con le armi dal rivale Alassane Ouattara, con l’aiuto dei soldati francesi dell’operazione Licorne e dei caschi blu dell’Onu, il capo di Stato uscente è prigioniero nell’estremo nord del Paese.

 

La popolazione, tuttavia, non sembra convinta del ritorno della pace. Un timore giustificato dalla strage avvenuta martedì 3 maggio alla periferia di Abidjan, la capitale economica del Paese, per opera dell’esercito di Ouattara, che ha così smantellato le milizie ancora fedeli a Gbagbo. Nello stesso giorno, un missile è stato lanciato nel centro della città, a due passi dal palazzo di governo, scatenando nuovamente il panico nella popolazione.

 

Giovedì 5 maggio, intanto, con un clamoroso passo indietro, Paul Yao Ndré, presidente del Consiglio Costituzionale che aveva eletto presidente Gbagbo e poi era scappato in Ghana, una volta tornato in patria ha invece dichiarato Ouattara (sostenuto precedentemente solo dalla Commissione elettorale) legittimo vincitore delle elezioni presidenziali. Adesso, nel Paese, si attende solo il giuramento del nuovo capo di Stato (forse venerdì 6 maggio), l’investitura ufficiale, prevista per il 21 maggio a Yamoussoukro, e l’insediamento del suo governo, che dovrebbe essere una versione ampliata del gruppo di gestione formato dopo le votazioni. Ma cosa attende la Costa d’Avorio? Si riuscirà davvero a mettere fine agli scontri? Ne parliamo con padre Toninho Lunes, missionario del Pime (Pontificio istituto per le missioni estere), che ritiene il perdono il primo passo che il popolo ivoriano dovrà compiere.

 

Padre Lunes, ma in Costa d’Avorio è davvero tornata la pace?

«Partiamo da un dato: in principio, c’erano tre formazioni armate, militari e paramilitari. Una sosteneva Gbagbo, le altre due Ouattara. Una di queste, detta commando invisibile, era guidata da Ibrahim Coulibaly, detto I.B.. Questo militare ha spianato la strada ad Ouattara, ma era ritenuto una minaccia dal primo ministro Guillaume Soro, a sua volta capo di una formazione di ribelli nel corso del fallito colpo di stato del 2002, per la sua aspirazione al ruolo di generale nell’esercito regolare. Ouattara aveva chiesto a I.B. di deporre le armi e sembrava che il miliziano avesse accettato. Improvvisamente, però, l’esercito ha attaccato il bunker di Coulibaly, uccidendolo. I suoi uomini hanno poi deposto le armi».

 

Se un ex alleato è stato ammazzato, cosa è accaduto ai nemici?

«I giovani delle milizie che sostenevano Gbagbo si erano rifugiati alla periferia di Abidjan. Vivevano di saccheggi e in un clima di terrore. Martedì scorso, durante un attacco dell’esercito, supportato ancora una volta dalle truppe Licorne e dall’Onu, la formazione è stata smantellata e sono stati recuperati una sessantina di corpi».

 

Cosa ne è stato di Gbagbo?

«È agli arresti nell’estremo nord del Paese, in una città diversa da quella dove è detenuta la moglie. Per verificare le condizioni in cui vengono tenuti, è arrivato in Costa d’Avorio un gruppo di saggi, di cui ha fatto parte anche l’ex segretario dell’Onu, Kofi Annan, e Gbagbo è apparso in buone condizioni. Mercoledì prossimo, comunque, dovrebbe comparire in tribunale per rispondere dell’accusa di crimini di guerra che gli è stata rivolta».

 

Cosa attende, invece, Ouattara?

«Ouattara ha avuto fin dall’inizio molti appoggi, anche finanziari, da gruppi di potere stranieri che hanno investito in Costa d’Avorio per la ricostruzione del Paese. Così, il nuovo presidente è riuscito a riaprire le banche, il porto e l’aeroporto, le scuole, e attraverso campagne propagandistiche, sta cercando di far tornare in Patria gli sfollati, circa un milione. Un’operazione difficile, perché in molti, tornando, non trovano più le case, ma solo distruzione. Il Paese sta ripartendo, ma non mancano tensioni. Ouattara, infatti, vive ancora in hotel, perché hanno trovato delle mine anti-uomo nel palazzo presidenziale».

 

Cosa augura alla Costa d’Avorio?

«Penso innanzi tutto alle persone: c’è bisogno di ritrovare un equilibrio emozionale, di lavorare alla riconciliazione del popolo, e per questo potrà fare molto la Chiesa. Prima, sembrava di essere nella “Svizzera nera”: Abidjan era una città fiorente, bellissima. La guerra ha prodotto solo distruzione. Ora serve un vero perdono. Bisogna rimboccarsi le mani per ricostruire la pace e non solo le mura della città. Bisogna lavorare all’unità nazionale, al benessere del persone, per far sì che la “Commissione per il dialogo, la verità e la riconciliazione” voluta da Ouattara non sia solo un organismo vuoto, ma serva davvero a far rinascere la popolazione, facendo diventare tutti, attraverso il perdono, degli uomini nuovi». 

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