«Una legge di questo tipo non serve alla giustizia»

Rosaria Daddea, giudice delle indagini preliminari del tribunale di Barcellona pozzo di Gotto, tra un mese giudice penale al tribunale di Pavia commenta la riforma sulla responsabilità civile dei magistrati
processi

Si definisce garantista Rosaria Daddea, giudice delle indagini preliminari del tribunale di Barcellona pozzo di Gotto, nel messinese: territorio noto per una pervasività mafiosa apparentemente silenti ma che sa imbracciare le armi con sicurezza, come nel caso del giornalista Beppe Alfano, assassinato per aver scoperto il sodalizio tra la criminalità locale e il clan catanese dei Santapaola. Rosaria Daddea opera qui da qualche anno anche se tra un mese diventerà giudice penale del tribunale di Pavia. «È evidente – afferma – che anche noi giudici possiamo sbagliare e corrisponde a giustizia che chi ha patito un errore giudiziario per colpa o per dolo possa essere risarcito». Sulla riforma è molto critica: «Questa modifica non serve alla giustizia», afferma con decisione.

Dottoressa Daddea, cosa non la convince di questa nuova riforma?
«Anzitutto l’aver eliminato il filtro di ammissibilità. La valutazione della domanda di risarcimento nei confronti dello Stato avveniva in maniera preventiva, quindi si decideva in partenza se la causa civile per l’accertamento della responsabilità del magistrato poteva iniziarsi o meno. Ora, mancando il filtro, pur non essendo stata prevista la responsabilità diretta, è evidente che chi non ha interesse al buon andamento della giustizia (un soccombente c’è sempre, sia nei processi penali, sia nelle cause civili)  può iniziare una causa civile, citando anche il magistrato e lo può fare anche quando i procedimenti sono ancora in corso. E’ evidente che, prima o poi un giudice si pronuncerà sulla inammissibilità della domanda; intanto, però,  si realizza la paralisi del procedimento.  Ad esempio, se un imputato  vuole liberarsi di un certo giudice o ritardare il processo, basta che notifichi un atto di citazione».

Quali conseguenze avrà sul processo?
«Io giudice non posso trattare un processo nei quali ho un contenzioso con una delle parti e quindi devo lasciarlo, quindi chi comincia la causa ha raggiunto già il suo obiettivo: non sarà giudicato da me. Io per legge devo astenermi dal partecipare e anche se ad un certo punto la causa sarà dichiarata non procedibile, magari dopo tempo perché il giudice incaricato di seguirla avrà altre migliaia di procedimenti, il risultato sarà la paralisi del processo ad opera di chi ha interesse a bloccarlo. E’ in questo modo che si vuole riconoscere la responsabilità civile del giudice? Questa riforma si rivela miope e non serve alla giustizia, aumenta irragionevolmente il contenzioso e non apporta alcun vantaggio alla ragionevole durata del processo».

I cittadini però non si sono sentiti sufficientemente tutelati da queste modalità di esercizio ella giustizia…
«Pur avendo il massimo rispetto per chi ha subito un errore giudiziario, non posso non fare rilevare che non può non tenersi conto della funzione della giurisdizione e la complessità del giudizio. Ora, la legge ha introdotto, tra le ipotesi di colpa, il travisamento del fatto o della norma. Io ritengo che tale previsione apra la strada a una responsabilità in ordine alla interpretazione della legge e alla valutazione delle prove che evidentemente non può essere oggetto di un giudizio di responsabilità al di fuori delle ipotesi di colpa e di dolo che la legge ha già previsto specificamente. L’ambiguità delle previsione aprirà la strada a maggiori richieste di risarcimento, oltre a togliere al giudice la serenità del giudizio e, quindi, a minare l’autonomia e l’indipendenza.».

Si possono stabilire sanzioni per chi promuove una causa infondata?

La mia opinione è che non si possono prevedere sanzioni speciali solo per le cause relative alla responsabilità dei magistrati. La legge prevede già istituti specifici per le liti temerarie; si possono precisare o ampliare, ma devono riguardare tutti i procedimenti civili. Questo, però non risolve la questione, chi ha interesse non si ferma davanti a una sanzione. Il filtro era altra cosa, serviva proprio a evitare che si istaurassero tali tipi di causa. Si poteva, eventualmente, modificare la valutazione  in tale sede, per renderla più efficiente.

Quali altri nodi contiene questa riforma?
«Se da una parte la legge ribadisce che la responsabilità del giudice non può valere nell’attività di interpretazione, c’è da analizzare meglio il passaggio sul travisamento di fatto delle prove perché non diventi grimaldello che incida poi di fatto nella interpretazione della norma da parte del giudice. La violazione di norma manifesta potrebbe voler dire che un fatto non c’è, mentre negli atti c’è: il travisamento del fatto potrebbe dar adito anche all’interpretazione che il fatto non è proprio così, mentre per un giudice un fatto c’è o non c’è. Si immagini nei processi di mafia cosa vuol dire una norma di questo tipo».

L’Europa ha comunque richiamato l’Italia sulla responsabilità civile dei magistrati…
«La procedura di infrazione è nata perché sulla precedente legge di responsabilità civile dei giudici non era previsto che lo stato rispondesse anche per violazione della normativa europea. La procedura è stata prevista quindi per questa ragione e non perché, come si legge e si sente dire da molte parti, l’Europa ci chiedeva una responsabilità diretta del giudice o altro. La Corte Costituzionale, peraltro, aveva già segnalato tale carenza in alcune pronunce. I giudici singolarmente, l’organo di autogoverno (CSM) e la magistratura associata non si sono mai opposti, come pure si dice, al riconoscimento della responsabilità, hanno semplicemente rifiutato una visione “punitiva” della responsabilità o che ledesse la sua autonomina e indipendenza, influendo sulla attività di interpretazione delle norme e valutazione delle prove. La procedura quindi è stata aperta per questa ragione e non perché non fosse prevista una responsabilità civile».  

Quali altre ragioni ci sono dietro questa nuova legge?
«L’unica vera ragione è il dovere di rispondere all’Europa e l’abbiamo fatto con un solo articolo. Tutto il resto non aveva ragione di essere modificato perché la legge c’era. Diverso è dire che non funziona e questo accade perché qualcuno non prende le pratiche e non le porta avanti. Ci sono stati tanti procedimenti contro i magistrati. Il Csm ha proposto tante azioni disciplinari per violazioni comportamentali dei giudici e di fatto non c’erano motivi per cui lo Stato non procedesse nei confronti del giudice quando si accertava il dolo o la violazione di legge o altro ancora: sono i tempi lunghi una vera nota stonata e questa legge non li migliora di certo».  

Quali altri problemi si trova ad affrontare la giustizia italiana?
«È un momento difficile perché tante cose si son dette contro la magistratura: casta, privilegi, impunibilità. Oggi esercitare la giurisdizione non è più un valore perché in ogni processo c’è sempre un soccombente che non può certo gioire delle condanne e chiede ragione ad uno Stato che spesso fa poco per proteggere chi esercita la giustizia e non ne tutela indipendenza e autonomia. ll Csm non valuta sufficientemente i carichi di lavoro di un giudice: si lavora con carichi inesigibili ed è anche per questo che l’errore è dietro l’angolo. Tutti vorremmo che i processi finissero in tempi brevi ma la mole di lavoro è eccessiva. L’informatizzazione è un altro nodo perché  non c’è sufficiente disponibilità di mezzi. Non c’è, ad esempio, uno strumento snello che mi consenta in tempo reale di disporre dell’articolo di legge aggiornato all’ultima delle molte modifiche intervenute nell’arco dell’anno, magari inserite in una legge estranea alla materia: è vero che può sfuggirci una norma che ad esempio ha abolito un reato in materia ambientale inserita magari nella legge sui farmaci scaduti. Il ministero ha messo in moto una raccolta sistematica di leggi ma i tempi sono lunghi».

Altro nodo è la carenza di personale che dovrebbe però essere rimpolpato dai dipendenti provenienti dalle province abolite…
«Una prospettiva che reca tante criticità. Inserire un dipendente della provincia con lo stesso grado dell’ente di partenza comporta che magari venga a dirigere un cancelliere che da venti anni lavora in tribunale e che vanta esperienza e conoscenza certamente maggiore. Questo creerà malumori perché un cancelliere non riesce a diventare dirigente se da anni non ci sono concorsi. Se va inserito nuovo personale va fatto un concorso a cui partecipino egualmente esterni ed interni perché in questo modo il ruolo è ricoperto da chi merita e non solo da chi è dirigente, anche capace di un ufficio provinciale. In ogni caso la priorità in questo caso è dotare il Tribunale di personale adeguato e sufficiente».

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