Giovanni Pascoli, l’uomo, prima che il grande poeta. Un uomo ombroso e un romagnolo acceso, vittima del trauma infantile dell’uccisione del padre, un delitto irrisolto ed impunito che ne ha drammatizzato la vita. Il film diretto con l’equilibrio che sempre lo contraddistingue, con sensibilità mite da parte di un autore come Giuseppe Piccioni, ripercorre a grandi linee la vicenda umana – ed i risvolti poetici come le lettura dalla voce fuori campo di alcuni versi – del poeta.
Mentre il treno, nel 1912, scorre da Bologna a Barga, tra le ali della folla, portandone la salma, la sorella Mariù (una credibile Benedetta Porcaroli) ricorda episodi della vita del fratello e con il fratello. È un susseguirsi di scene, l’infanzia, l’orfanezza, il carcere, l’adesione al socialismo, la laurea con Carducci, il rapporto con D’Annunzio (Fausto Paradivino) che lo lusinga. Il treno va, con gli amici, gli studenti e il paesaggio bellissimo che scorre tra passato e presente.
Il ritorno della memoria è infatti il centro dell’arte e della vita pascoliana con tre temi: la morte, il dolore, la natura e quel “mai più” terribile conclusivo che è un “mai più” dell’amore, in sostanza della felicità da parte di un uomo sensibile, ombroso, distaccato in apparenza dal mondo, solitario. Irrisolto: la distruzione del “nido”familiare e la ricostituzione di esso con Ida (Liliana Bottone) e Maria sarà dolorosa. Ida non resisterà, poi si sposerà e Mariù resterà con lui, legata da un affetto ossessivo, una quasi-presenza materna.
Escono allo scoperto alcuni aspetti dell’uomo Pascoli, trattati con delicatezza,con allusioni rispettose nei dialoghi molto ben scritti: l’amore per il vino, la timidezza, le amicizie rare, gli studenti, forse qualche donna, l’anticlericalismo, la diffidenza verso Carducci.
Federico Cesari ne ha fornito una interpretazione magnifica, personale, attenta: fragile e acceso, nostalgico e bisognoso di affetto (splendida la scena del poeta con il suo cane sulla spiaggia). Non c’è la somiglianza fisica, non occorre, perché l’attore “diventa” Pascoli nell’essere più vero.
La fotografia morbida, tenue, i costumi perfetti ci portano nella dimensione di un’epoca per noi lontana ma viva perché il racconto non vuole essere la solita biografia, ma una “rivisitazione” alla scoperta di un grande, delle sue debolezze, del suo vissuto, dell’origine dei suoi versi di rara profondità.
La regia sottile, preziosa nei dettagli e nelle sfumature – Piccioni è regista di sfumature – si rivela adatta alla riscoperta di un poeta quanto mai vicino a noi e della sua vena raffinata, visionaria e piena di amore.