Un regista sociale

Figlio di operai, socialista e autore di grande coerenza contenutistica, Loach è uno che ama raccontare i deboli, gli sfruttati, le ingiustizie sociali e l'importanza della libertà. Un artista per cui vita e cinema viaggiano parallelamente
Ken Loach

Ken Loach è stato di recente a Roma per accompagnare il suo ultimo film, Jimmy's hall, uscito in Italia in questi giorni. La pellicola è ambientata all'inizio degli anni '30, nella stessa Irlanda de Il vento che accarezza l'erba: ilfilm con cui il regista vinse la palma d'Oro nel 2006. Come Terra e libertà (1995),ambientato durante la guerra civile spagnola, anche quelli irlandesi sono film storici: nel primo siamo negli anni '20 della guerra di indipendenza irlandese, e poi della guerra civile sull'Isola; nel secondo avanziamo di una decina d'anni, e vediamo un Paese entusiasta per le recenti conquiste ottenute: «Un tempo di grandi ideali – lo definisce Loach – di grandi possibilità, perché quando un Paese diventa indipendente, tutto sembra possibile». Non tutto fila liscio, però, perché c'è chi teme che la voglia di crescita e di libertà delle persone comuni possa rompere i vecchi equilibri di potere.

Loach è inglese, ma nei suoi film l'Inghilterra non fa una gran figura. In quelli ambientati in Irlanda, poi, ne esce con le ossa ancor più rotte: «Gli inglesi vogliono far credere che gli irlandesi non possono fare a meno di combattere gli uni contro gli altri – ha spiegato il regista nei suoi giorni romani  –  e si arrabbiano se qualcuno vuole dimostrare il contrario». Quando però gli chiedono come si senta a mostrare al mondo un'immagine poco edificante della sua Inghilterra, risponde che non è questione di inglesi contro irlandesi, o viceversa, ma una questione di classe, non di nazionalità: «Le persone che avevano mandato i soldati inglesi in Irlanda – precisa Loach riferendosi a Il vento che accarezza l'erba – erano le stesse che avevano sfruttato i miei nonni nelle miniere di carbone e nelle campagne».

Nel suo viaggio italiano, Loach ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche, ed ha incontrato il pubblico presso il cinema Aquila di Roma, al Pigneto: «Sono contento di essere in periferia – ha detto salutando le persone in sala –  qui mi sento a casa». In effetti le sue storie, soprattutto quelle ambientate ai giorni nostri, raccontano persone che vivono ai margini, in contesti sociali  sfavorevoli: gli operai di Riff Raff (1991) e di Piovono Pietre (1993), i disoccupati alcolisti di My name is Joe (1998), gli adolescenti sbandati di Sweet sixteen (2002), o i più fragili di tutti: gli ultimi del nostro presente, i migranti del bellissimo In questo mondo libero (2007), che impattano dolorosamente contro il nostro mondo occidentale, sempre più povero non solo economicamente. Non è un caso, come Loach stesso ha ricordato nei suoi giorni romani, che il suo principale maestro sia stato Vittorio De Sica: «Mi ha influenzato molto – ha spiegato il regista a Radio Tre – perché ho sempre voluto fare film che raccontassero personaggi presi dalla strada. Quando vedevo certi film italiani, cresceva in me la fiducia che la gente comune potesse essere protagonista dei miei film».
Regista sociale, figlio di operai, socialista e autore di grande coerenza contenutistica, Loach è uno che ama raccontare i deboli, gli sfruttati, le ingiustizie sociali e l'importanza della libertà. Per lui vita e cinema viaggiano parallelamente, e non potevano mancare, quindi, domande sulla crisi che unisce drammaticamente tutta Europa. Le sue risposte hanno sottolineato la debolezza crescente dei lavoratori, la perdita costante del loro potere contrattuale: «Il lavoratore avrebbe bisogno di sicurezza – ha ripetuto Loach ad ogni occasione – vorrebbe poter pianificare il proprio futuro, ma i diritti dei lavoratori sono oggi sotto attacco più che mai. Manca la sicurezza di uno stipendio con cui una persona possa mantenere la propria famiglia». Sono parole che ascoltiamo e ripetiamo da tempo, senza che nulla accada mai; ma preferiamo leggerle come l’indomabile voglia di lottare per il bene, come il desiderio instancabile di contrapporsi a un mondo sempre più egoista e indifferente, dove la solidarietà tra uomini è cosa ogni giorno più rara. «E' un vero e proprio problema democratico – ha ricordato Loach agli spettatori del cinema Aquila –  ed oggi è peggio di ieri: c'è chi deve scegliere tra il freddo o la fame, persone disabili a cui sono stati sottratti gli strumenti di sostegno».

I suoi film vogliono accendere le coscienze; i panni sporchi del presente, per usare un immagine risalente ai tempi del Neorealismo, Loach continua a lavarli in pubblico, e se qualche volta regala un sorriso, quasi sempre colpisce con pugni allo stomaco, denunciando i mali della nostra società. Nelle interviste ha insistito molto sul bisogno di unità delle persone, sulla necessità di rimanere uniti di fronte alle difficoltà. Un po' quello che accadeva in uno dei suoi film più belli: Il mio amico Eric (2009),dove la comunità si univa per difendere un postino fragile. C'è voglia di unità e di sostegno reciproco anche in Jimmy's hall, e passa per la condivisione di uno spazio culturale. La chiesa nel film, è rappresentata come incapace di sostenere il processo di crescita e di sviluppo dei più deboli, ma di sacerdoti eroi come il protagonista Jimmy Gralton, ce ne sono stati tanti nella Storia, uomini che hanno dato la propria vita per l'amore dei più esposti: da San Filippo Neri, cinque secoli fa, che i suoi ragazzi li raccoglieva per strada e li faceva cantare, a don Pino Puglisi, ammazzato perché voleva dare un futuro a chi era nato in un contesto simile a quello raccontato da Loach con i suoi film.

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