Un popolo fiero dalle radici cristiane

Si è conclusa la visita di Maria Voce alle comunità dei Focolari presente nel Paese magiaro. Una terra ricca di storia e spiritualità, dove non mancano le sfide da affrontare.
Maria Voce incontra consiglio dell'Ungheria

Se si chiede ad un cristiano ungherese come veda la sua nazione e la sua appartenenza ad essa, egli risponderà che il popolo ungherese è il popolo di santo Stefano e che l’Ungheria è la nazione della Vergine Maria. Ma se anche la persona interpellata non fosse cristiana, avrebbe lo stesso grande venerazione e per la corona e per il primo re della storia del Paese magiaro. Non a caso a tutt’oggi l’Ungheria è l’unica nazione in cui la corona di un re cristiano viene custodita, anzi troneggia, nel sontuoso Palazzo del parlamento, il secondo al mondo per dimensioni dopo quello di Londra, ma il primo, dicono qui, per bellezza. Essa è inoltre citata nelle Costituzioni stesse della nazione, anche nell’ultima approvata il 25 aprile scorso e che entrerà in vigore il 1° gennaio 2012. Nel suo preambolo essa dice che «la Costituzione si inscrive nella continuità della Santa Corona» e ricorda «il ruolo del cristianesimo»  nella «sua storia millenaria». Qui pure l’inno nazionale è una preghiera a Dio, e persino negli anni del comunismo non ha subito modifiche, anche se veniva solamente suonato e non cantato.  

 

Non sembri però che l’impronta spirituale orienti del tutto la vita quotidiana anche nel 2011. Da fare, per ricostruire la società a tutti i livelli, ce n’è anche qui, in un Paese che, uscito dal comunismo nel 1991, deve superare una certa demoralizzazione e un forte individualismo, e deve formarsi una coscienza di partecipazione politica, sanando un grave debito pubblico.

 

E’ in questo contesto che il Movimento dei focolari, presente nel Paese dagli anni Settanta, offre il suo apporto di vita nei più diversi ambiti dell’agire umano. La presidente dei Focolari, Maria Voce, venuta in visita alle comunità sparse in tutta l’Ungheria (vedi www.focolare.org), nei diversi incontri coi giovani, come con i sacerdoti, con i responsabili e con tutte le persone in contatto col movimento, ha modo di constatarne la vitalità, l’impegno, la spinta a costruire la fraternità. Solide basi su cui fondare un futuro pieno di speranza. Mentre a Budapest, ci si prepara ad accogliere un evento mondiale giovanile, il Genfest del settembre 2012.

 

A conclusione della settimana trascorsa a Budapest abbiamo intervistato Maria Voce per tracciare un bilancio della visitanon solo in Ungheria, ma negli altri Paesi dell’Est.

 

Che impressione ha avuto dal contatto con le comunità del movimento presenti in Ungheria?

«C’è da ringraziare Dio perché fanno cose importanti nei diversi ambiti in cui operano, nelle comunità in cui si trovano a vivere. Si sente che c’è la voglia di far qualcosa per il Paese, non si vede gente amorfa, disinteressata: questa è una ricchezza. Ad esempio i giovani mi sono piaciuti molto perché, nel nostro incontro, mi hanno rivolto domande impegnative e volevano andare a fondo nel capire come vivere secondo l’Ideale dell’unità. Non si accontentavano di una risposta generica. In questo senso penso che il prossimo Genfest potrà contare su tanti talenti e su una grinta che forse da altre parti non ci sarebbe».

 

Quale l’augurio per queste comunità del movimento magiare?

«Auguro loro di aprirsi, di superare quella diffidenza che a volte esiste nei confronti di altri popoli, di spalancare l’anima sul mondo intero cominciando intanto dall’Europa o almeno dai Paesi vicini. Ne hanno la possibilità. È giusto, infatti, affermare la propria identità, ma nel concerto delle nazioni. La sfida è quella di accorgersi dei tanti talenti che esistono qui in Ungheria, ma di donarli e di accogliere quelli degli altri popoli, e di imparare sempre di più a collaborare con loro. Siamo qui a “far bella l’Ungheria” perché l’umanità sia più bella. D’altronde siamo in un mondo in costante sviluppo, in cui le frontiere si abbattono di continuo, e forse anche questo momento in cui l’Ungheria ha la presidenza dell’Unione europea può essere un momento favorevole».

 

Budapest è stata l’ultima tappa del lungo viaggio che l’ha portata anche a Mosca e Praga. Che bilancio tracciare?

«In Russia mi ha colpito il “grandioso”, lo sviluppo impetuoso, ma nello stesso tempo ho avvertito gli effetti dell’azzeramento, se così si può dire, che il comunismo ha provocato nella società, a vari livelli. Nella Repubblica ceca mi ha colpito, invece, il senso di europeismo che si respira, la capacità di essere all’altezza degli altri popoli del Centro Europa, nonostante non manchino aspetti da sanare, progressi da fare: lì la ripresa del cristianesimo non parte da zero, ma dalle radici cristiane che sono state soffocate, ma non distrutte. Anche qui in Ungheria si nota una forte radice cristiana; anzi il legame fra la dimensione spirituale e quella politica si avverte più che altrove e si sente che gli ungheresi ne vanno fieri, come dimostra il fatto stesso che sono riusciti ad inserire nella nuova costituzione alcuni principi cristiani. Sarebbe davvero augurabile che riuscissero a coinvolgere in questa esperienza anche altri popoli».

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