Un ponte tra oriente e occidente

In un convegno a Bologna è stata ricordata la figura di Lanza del Vasto: un filosofo, poeta, scrittore e pacifista che ha voluto far conoscere gli ideali gadhiani
lanza del vasto

Lanza del Vasto, pseudonimo di Giuseppe Giovanni Lanza di Trabia, è un nome che non dice molto all’italiano di questi tempi. Eppure quest’uomo, nato in un paese del Salento, San Vito dei Normanni, da padre italiano e da una marchesa belga, è stato senza dubbio una delle personalità più poliedriche dell’Italia del XX secolo. Laureato alla Normale di Pisa, si è distinto come filosofo, poeta, scrittore e pacifista, oltre che fondatore dell’Arca, una comunità che si ispira alla spiritualità e alla non violenza, e che conta diversi centri in Francia, Spagna, Argentina ed Italia. Morto ad ottantant’anni nel 1981, è stato ricordato in questi giorni nel corso di un convegno tenutosi presso la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII a Bologna. Sono intervenuti rappresentanti del movimento pacifista e gandhiano in Italia, intellettuali e testimoni, fra i quali anche il nipote, Manfredi Lanza.

 

Particolarmente apprezzati gli interventi di Antonino Drago – da lungo tempo seguace italiano della Comunità dell’Arca, oltre che docente nei corsi di laurea di Scienze per la pace dell’università di Pisa e di Operazioni di pace dell’università di Firenze –, e di Rocco Altieri, ideatore e curatore dei Quaderni Satyāgraha e docente anch’egli di Teoria e prassi della non violenza nel corso di laurea di Scienze per la pace dell’università di Pisa.

 

La figura del filosofo-pacifista è emersa nella sua ricchezza di profondità spirituale e d’impegno alla pace, alla sequela degli ideali di Gandhi. Lanza del Vasto, infatti, aveva incontrato il Mahatma nel 1937, durante un viaggio in India che risultò decisivo per la sua scelta di vita. Ancora prima di quello che chiamò «il pellegrinaggio alle sorgenti», descritto nel suo libro probabilmente più famoso, aveva affermato che «Gandhi e l’India sono la salvezza del mondo, non c’è altra via d’uscita dall’abominio di questo secolo». Per questo aveva fondato una comunità rurale non-violenta, ispirandosi all’ashram gandhiano.

 

Lanza e i suoi compagni, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, si sono resi protagonisti di azioni pacifiche capaci di attirare l’attenzione pubblica, soprattutto francese, quando nel 1957 manifestarono contro le torture e i massacri compiuti nella guerra di Algeria. Seguirono poi le lotte contro il nucleare e a favore dell’obiezione di coscienza. Durante la quaresima del 1963, Lanza chiese al Concilio una parola decisa in favore della pace e per questo iniziò un digiuno di quaranta giorni. Qualche settimana più tardi uscì l’enciclica Pacem in Terris.

 

La figura del gandhiano italiano, che scelse di tornare dall’India in Italia per essere ponte fra occidente ed oriente e per realizzare il sogno della ahimsa anche in Europa, è ancora tutta da scoprire e valorizzare.

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