Non si finisce mai di scoprire cose nuove del nostro passato. Per esempio, la figura e l’opera di Giuseppe Castiglione (1688-1766), noto col nome cinese di Lang Shining, milanese arrivato a Macao nel 1715 dove apprende la lingua e lo stile di vita dei cinesi. Pittore di talento, viene inviato alla corte degli imperatori Kangxi, Yongsheng e Qianlong, dove insegna pittura e dipinge quadri ricchi di fantasia e di realismo. Nulla però di pesante, anzi Giuseppe armonizza la delicatezza cinese con la tendenza molto settecentesca in Europa al colore acquarellato, alle tinte chiare, alla luce che si riverbera su cose e persone con misurata eleganza. Il pavone blu che fa la ruota tra ciliegi dai fiori bianchi è immagine raffinatissima che unisce l’amore orientale per gli alberi in primavera e il tocco realistico occidentale per gli animali. Giuseppe fonde questi caratteri con una linea invisibile ma ferma ed un colore liquido, trasparente. Il vaso di fiori con le rose è qualcosa di struggente. C’è la poesia dell’intimità, il canto lirico della bellezza mai eccessiva, stilizzata ma non dura. E’ la poesia del palpito della natura che Giuseppe descrive, anzi canta come fossero i fiori del futuro simbolismo europeo. Un mano leggera dipinge anche il cavallo marrone, “presenza” rassicurante e tranquilla, corpo modellato con cura ma lieve, perché il mondo cinese ama le tinte pastello, l’indefinita luce che brilla su tutte le cose ma mai si fa prendere.

La rassegna, per la prima volta in Italia, a Firenze all’Opera Santa Croce, in collaborazione col National Palace Museum di Tapei-Taiwan sino al 31 gennaio fa conoscere un artista geniale, profondo, un poeta dell’immagine qual era il gesuita milanese, capace di “inculturarsi” con un mondo così diverso dall’Occidente senza perdere il gusto per l’armonia.