Un forte segnale di speranza dall’Indonesia

Il nuovo presidente Joko Widodo annuncia una legge che tutela le minoranze in coerenza con il motto del Paese a forte maggioranza musulmana: "unità nella diversità" 
Widodo

 

 

 

 

L’Indonesia, il Paese con il più alto numero di persone di fede musulmana al mondo, sta aprendo un capitolo che potrebbe portare una ventata di speranza anche a livello globale, in un mondo che sempre più spesso vive attanagliato da fobie (cristiano fobia e islamofobia su tutte) che, a molti, sembrano un preludio per uno scontro di civiltà.

Nei giorni scorsi, infatti, il nuovo presidente, eletto nel luglio scorso al termine di una battaglia elettorale serrata e non priva di colpi di scena, ha dichiarato le sue intenzioni di garantire un’adeguata protezione alle minoranze, sia etniche che religiose. Joko Widodo, 50 anni, popolarmente chiamato “Jokowi”, intende varare un disegno di legge in questa direzione. Di fatto, questo significa prendere le distanze non solo dal suo concorrente nel testa a testa della gara alla presidenza, ma anche dal suo predecessore Yudoyhono, che a molti era parso inadeguato nella gestione della complessa situazione del Paese musulmano più grande del mondo che, a fronte di un governo democratico che ha sempre rifiutato di imporre la shari’a, deve pur fare i conti sia con vicini di casa di diverso avviso (la Malaysia su tutti) che con tensioni interne dovute ad infiltrazioni di fondamentalisti islamici.Il progetto di legge è stato annunciato da Lukman Hakim Saifuddin, nuovo ministro per gli affari religiosi nel gabinetto di Widodo, e mira a “proteggere tutti i gruppi religiosi, anche al di fuori delle sei religioni riconosciute ufficialmente in Indonesia” (islam, cattolicesimo, protestantesimo, induismo, buddismo e confucianesimo). La legge potrebbe essere decisiva per facilitare le procedure per il rilascio delle licenze di costruzione di edifici di culto non musulmani, un nodo fondamentale che ha spesso creato tensioni sfociate anche in attacchi e violenze di diverso tipo, in particolare in zone dell’immenso Paese (17 mila isole) dove è forte la presenza del gruppo islamista radicale Islamic Defenders Front. Inoltre, la speranza dei cristiani è che una nuova legge di questo tipo possa mettere al riparo i fedeli da norme come quelle approvate solo pochi mesi fa nella provincia di Aceh, nel Nord dell’isola di Sumatra, che impone – caso unico nella democrazia indonesiana – anche ai non musulmani di osservare la legge islamica.

 

Un secondo sviluppo interessante proposto dall’attuale gabinetto riguarda i documenti di riconoscimento che normalmente (la carta di identità) riportano la religione di appartenenza. Si tratta di un’eredità dell’era Suharto, che ha sempre suscitato tensioni. Il dittatore aveva escogitato questo particolare dettaglio sui documenti di riconoscimento per individuare i comunisti, lo spettro della sua gestione politica, un periodo che ancora oggi resta avvolto nel mistero, ma che ha provocato la morte di un numero esorbitante di persone, soprattutto di origine cinese. In quegli anni l’ateismo era stato dichiarato fuorilegge ed ogni cittadino indonesiano si era sentito costretto a scegliere (anche coloro che seguivano le religioni tradizionali) una delle sei fedi riconosciute dallo stato.

 

Il locale Institute for Policy Analysis of Conflict, con sede nella capitale Jakarta, di recente aveva auspicato la necessità di «promuovere l’educazione al dialogo e all’armonia a partire dalle scuole» a fronte di una situazione ancora aperta, ma con pericolose crepe nel tessuto sociale a causa della radicalizzazione di alcune frange dell’Islam. Il disegno di legge che viene proposto sembra poter contribuire a questa politica di dialogo e di armonia che, fra l’altro, costituisce il tessuto originale di questo Paese dove nelle campagne e nei villaggi, con alcune eccezioni, si sperimenta una convivenza e integrazione notevole. I cristiani cattolici indonesiani hanno, inoltre, apprezzato la visita che il neo presidente Jakowi ha fatto di recente all’arcivescovo di Jakarta, Mons. Ignatius Suharyo, presidente della conferenza episcopale locale. La visita di cortesia ha sancito una speciale sintonia umana, culturale e spirituale, dato che i due leader provengono entrambi dall’area centrale di Giava (l’isola principale del'arcipelago) e hanno in comune tradizioni, costumi, radici, etnia.


Jakowi riscuote grande popolarità nella capitale dove è stato governatore negli ultimi anni e la sua visione politica sembra voler continuare sulla direttiva del principio cardine della convivenza – «unità nella diversità», motto ufficiale dell’Indonesia – e sui cinque principi (il «Pacasila») che sono alla base della nazione, tracciandone un volto aperto e tollerante. In un recente articolo apparso su Vatican Insider della Stampa di Torino, il carmelitano indonesiano Romanus Harjito ha dichiaro che «proprio questo orizzonte oggi è determinante». «I cittadini nutrono grandi speranze in Jokowi. È una persona semplice, che ben conosce le difficoltà del popolo e le sfide della nazione. Per esempio, a livello economico, c'è uno zoccolo di 11 per cento di poveri. Sul piano religioso, piccoli gruppi estremisti cercano di polarizzare la società e vorrebbero riservare ai soli musulmani le cariche politiche, dal basso al più alto livello». Attualmente, tuttavia, nel nuovo governo sono stati inseriti un ministro cattolico e due protestanti.

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