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Tunisia, una democrazia inceppata

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

La Tunisia si prepara al referendum del prossimo 25 luglio sulla nuova Costituzione, fortemente voluta dal presidente Kais Saied, che intanto ha assunto sempre più poteri. Il clima sociale e politico è molto teso. E questo non aiuta certo ad affrontare la realtà dei gravi problemi quotidiani che pesano sui tunisini.

La contrapposizione tra favorevoli e contrari al presidente Kais Saied è sempre più marcata. Gli osservatori ritengono che Saied possa ancora contare su una maggioranza di fedeli alla sua linea presidenzialista, per non dire autocratica.

Il problema si configura già dai termini della contrapposizione: più che scegliere una nuova legge fondamentale dello Stato, si sta scivolando verso una contrapposizione fra la “Costituzione di Saied” e quella precedende del 2014, frutto della Primavera araba del 2011. In pratica: pro o contro Saied, non pro o contro una Costituzione.

E per bocciare la Costituzione di Saied non serve a nulla boicottare le urne, perchè questo referendum costituzionale non prevede un quorum. In altri termini la nuova Costituzione verrà approvata se otterrà il sì della maggioranza dei votanti, non degli aventi diritto. Per un referendum costituzionale una premessa del genere è già inaccettabile, almeno in un sistema democratico.

E pensare che quando Kais Saied venne eletto presidente con suffragio universale al secondo turno (13 ottobre 2019) con il 76% delle preferenze (affluenza 50%), la sua vittoria venne salutata con favore dalla maggior parte dei leader di partito: socialdemocratici, islamisti, conservatori, nazionalisti arabi e perfino da Rached Ghannouchi, allora presidente del Parlamento e leader del partito di maggioranza relativa, Ennahda, vicino ai Fratelli musulmani.

In meno di tre anni Kais Saied, partendo dalla sua impostazione populista (non a caso il suo slogan elettorale fu all’epoca: “la gente vuole”) è riuscito ad imbrigliare il Governo, sciogliere il Parlamento, bloccare la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura, ecc. Quindi ha assunto “temporaneamente” pieni poteri, in vista di questa nuova Costituzione molto presidenzialista. Da “salvatore della Patria” ad autocrate in attesa di una definitiva consacrazione popolare, evitando però accuratamente di “impigliarsi” nel rischio del quorum.

C’è poi una prospettiva che non emerge in tutta questa diatriba sulla forma dello Stato. Una prospettiva che è la realtà dei problemi del Paese: in 11 anni dalla cacciata di Ben Ali ad oggi il Pil pro capite tunisino è crollato del 20%, il dinaro del 40% e il potere d’acquisto del 35%. L’inflazione è al 6% e la disoccupazione, endemico dramma tunisino a 2 cifre da 20 anni, nel periodo della presidenza di Saied è passata dal 15% all’attuale 19%. Si sta parlando di un nuovo prestito da parte del Fmi, ma, come sa bene la Grecia, l’Fmi non è un ente di beneficenza e chiede garanzie di restituzione: quali garanzie può offrire lo Stato tunisino già indebitato oltre il 100% del Pil? Per la cronaca nel 2011 l’indebitamento era al 41%.

Tra i principali punti di garanzia che l’Fmi chiede allo Stato di affrontare c’è la riduzione dei salari pubblici: più di metà della spesa è infatti utilizzata per gli stipendi di 650 mila pubblici dipendenti, che in un Paese con 12 milioni di abitanti è un numero decisamente elevato. Più che altro è una sorta di costoso escamotage per contenere la disoccupazione e rafforzare le clientele politiche. L’Fmi, per concedere il prestito, chiede inoltre di eliminare gli onerosi sussidi statali su prodotti di base come benzina ed energia, privilegiando altre forme più dirette di aiuto alle famiglie.

Chi affronterà questi problemi che, uniti alla forte carenza di grano causata dalla guerra in Ucraina e dai prezzi in aumento dei beni di prima necessità, stanno portando all’esasperazione la gente? Lo farà il presidente Saied dopo aver “vinto” il referendum costituzionale?

Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, non ha dubbi: “Nessun attore politico può farla franca rimuovendo i sussidi”. E aggiunge che molti prodotti sono già difficili da trovare e la sanità e l’istruzione sono in rovina. Concorda con questa visione anche il forte sindacato Ugtt, che dopo aver scatenato uno sciopero nazionale è stato preso di mira da Saied.

Ad inizio luglio, dopo l’uscita del testo della nuova Costituzione da sottoporre a referendum, una trentina di Ong e associazioni della società civile tunisina hanno pubblicato una nota congiunta schierandosi contro la Costituzione di Saied. Tra i firmatari, la Lega tunisina per i diritti umani (Ltdh), il Sindacato dei giornalisti, l’Organizzazione contro la tortura, il Forum per i diritti economici e sociali, la Coalizione per l’abolizione della pena di morte, ed altri.

Secondo la nota, la Costituzione di Saied “mina il principio dell’equilibrio dei poteri limitando le prerogative del potere legislativo e giudiziario e l’indipendenza della giustizia come fondamento della democrazia e garanzia di diritti e libertà”. E la nota rileva inoltre che vengono aboliti “gli organi costituzionali relativi ai media, alla giustizia, alla lotta alla corruzione e ai diritti umani”.

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