Tu non uccidere! La lezione di Mazzolari

Di fronte alla guerra il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Il fecondo insegnamento di don Primo Mazzolari (1890-1959) che nasce dalla vita e continua ad incidere sulle scelte personali e politiche: «nessuno ha il diritto di comandare ad altri uomini di uccidere i fratelli». Un contributo a partire dal testo “Tu non uccidere”, una “Magna Charta” per gli operatori di pace
Mazzolari e la Guerra AP Photo/Matthias Schrader

In un contesto di durissima guerra fredda e di forte contrapposizione ideologica, mentre divampa la guerra di Corea e da più parti si teme un nuovo conflitto mondiale, nell’agosto 1950 arrivano a don Mazzolari, a Bozzolo, due lettere[1] nella stessa busta. La prima è indirizzata alla redazione di Adesso, la rivista fondata da don Primo nel 1949, mentre la seconda è rivolta personalmente a don Mazzolari. Qui di seguito il contenuto della prima missiva.

«Caro “Adesso”,

siamo un gruppo di giovani né fascisti, né comunisti, né democristiani, ma cristiani, democratici, italiani. Ogni giorno, a ritmo incalzante, sentiamo parlare di riarmi, di stanziamenti favolosi e urgenti per produzioni belliche, di guerra imminente, di difesa nazionale e di blocchi contrapposti.

Chiediamo:

  • In caso di guerra, dobbiamo impugnare le armi?
  • In caso affermativo, come italiani, con chi e contro chi?
  • In caso di occupazione americana (vedi Patto atlantico) o russa, il nostro atteggiamento dovrà essere di collaborazione, di neutralità o di ostilità?
  • Desideriamo una risposta precisa di “Adesso” per ciascuno degli interrogativi.

Ringraziamo per l’ospitalità e salutiamo cordialmente».

Anche nella lettera a don Primo, i giovani firmatari, che si definiscono tutti lettori e sostenitori di Adesso, sottolineano i loro problemi di coscienza e chiedono risposte precise e non evasive o generiche. Questi i loro nomi: Giovanni Cristini, Lino Monchieri, Franco Nardini e Gabriele Calvi di Brescia; Marco Del Corno e Mauro Laeng di Milano; Giuseppe Gilardini di Pavia; Matteo Perrini di Taranto; Gaetano Santomauro di Bari.

Tutti ruotano attorno all’editrice La Scuola di Brescia e alle sue riviste. Don Primo risponde su Adesso [2] agli interrogativi posti dal gruppo di giovani, ma le tematiche poste da tali lettere vengono poi riprese in una serie di scritti, suggeriti anche da altre occasioni.

Il punto di approdo finale di tutta questa riflessione di don Mazzolari sul tema della pace è condensato nel libro Tu non uccidere, pubblicato anonimo nel 1955 dalla casa editrice La Locusta di Vicenza.

Mazzolari, foto Archivio

I lettori di Adesso sanno benissimo chi è l’autore, ma la radicalità delle posizioni che vi sono espresse consiglia una certa prudenza per il rischio di un immediato intervento censorio, come era già successo a don Mazzolari con altri libri. Così il testo, uscendo anonimo, può circolare e suscitare dibattito. Nel febbraio 1958 il Sant’Uffizio ne ordina il ritiro, ma ormai il libro, uscito già in seconda edizione, è diffuso in tutto il Paese. Nel 1965, a 6 anni dalla morte di don Primo, Tu non uccidere sarà pubblicato con il nome dell’autore[3].

Non si tratta di un’analisi sistematica o di una trattazione teologica, bensì di una serie di riflessioni, proposte nel momento storico di maggiore contrapposizione fra Est e Ovest, concernenti il problema della guerra e le vie della pace: siamo di fronte al punto d’approdo di una lunga e sofferta meditazione in merito alle scelte che una coscienza cristianamente ispirata è chiamata a compiere.

Il punto di partenza è rappresentato dall’affermazione che la guerra è in netto contrasto con il Vangelo: rappresenta sia un deicidio che un omicidio perché distrugge quell’immagine di Dio che è l’uomo. La guerra è un crimine perché si uccide e perché si rischia di rimanere uccisi.

«La guerra non è soltanto una calamità, è un peccato. Se non avremo paura di afferrare il senso del peccato che c’è in ogni guerra, e di dichiarare le nostre contraddizioni di cristiani rispetto alla guerra, l’amore vincerà la pace.

Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo. O si condannano tutte le guerre, anche quelle difensive e rivoluzionarie, o si accettano tutte. Basta un’eccezione per lasciar passare tutti i crimini».

 Di fronte alla guerra il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Per don Mazzolari la guerra è sperpero di risorse, di beni, di vite umane. Di fronte a una tale situazione il credente non può tacere o muoversi lentamente. Inoltre, chi ritiene in coscienza che ogni guerra sia un peccato, ha il dovere di agire di conseguenza e dunque di non collaborare in alcun modo con tutto ciò che ha a che fare con la guerra. Anche se la Chiesa e la teologia ancora non lo affermano, don Mazzolari ritiene che vi sia in tali casi il dovere all’obiezione di coscienza nei confronti della guerra intesa sempre come peccato.

«Se la guerra è un peccato, nessuno ha il diritto di comandare ad altri uomini di uccidere i fratelli. Rifiutarsi a simile comando, non è sollevare l’obiezione, ma rivendicare ciò che è di Dio, riconducendo nei propri limiti ciò che è di Cesare».

La dottrina tradizionale basata sulla guerra giusta per don Mazzolari non regge più. Le condizioni storiche sono cambiate e la Chiesa ne deve prendere atto e rivedere le proprie posizioni. Se la guerra aggressiva è ormai insostenibile anche per la Chiesa, pure quella difensiva, alla quale si riferisce la teoria della guerra giusta, è moralmente inaccettabile, poiché nella realtà odierna spesso non è possibile, data la complessità della situazione, stabilire chi è l’aggredito e chi è l’aggressore. Da secoli tutti affermano di fare la guerra per difendere il bene e la giustizia. In realtà la guerra serve a salvaguardare precisi interessi.

«Tutti difendono gli stessi beni, che non sembrano veramente tali se non grondano sangue. Gli uni e gli altri vantano mille ragioni, le quali non sono che una maschera, dietro cui si nascondono ipocrisie, interessi e cupidigie di dominio e di ferocia. […]. La tesi della guerra difensiva non manca di razionalità: diremmo che ne ha tanta, e di così comodo uso, che tutti possono appropriarsela, l’agnello come il lupo. Infatti, a un certo punto del racconto, non sai più distinguere l’uno dall’altro, vestendosi il lupo d’agnello e l’agnello facendosi lupo con la scusa di difendersi dal lupo. Non si sono mai battuti galantuomini contro canaglie, ma galantuomini contro galantuomini.[…]. La guerra non la si può fare se non da lupo a lupo, tra lupi e lupi, usando i metodi del lupo; mentre la resistenza è tutt’altra cosa e la si può fare rimanendo agnello nell’anima e nel metodo».

 A questo punto don Mazzolari affronta il problema della resistenza all’oppressore: è lecito opporsi con la forza e con la violenza? La sua posizione è chiara: si tratta di trovare un’altra strada per opporsi al male e per resistere; si tratta di rifiutare un atteggiamento passivo e di fuga dalle proprie responsabilità attuando una forma di opposizione che si basa su mezzi diversi dall’uso della forza e dalle armi.

«C’è chi trova legittimo e doveroso opporre forza a forza: ora noi, in considerazione della sincerità che crediamo di riscontrare anche nella nostra coscienza e nella nostra esperienza, domandiamo semplicemente se non possiamo sostituire alla resistenza della forza la resistenza dello spirito, senza venir meno con questo all’impegno della resistenza. […]. Non si rinuncia a resistere, si sceglie un altro modo di resistere, che può parere estremamente folle, qualora si dimentichi o non si tenga abbastanza conto dell’orrendo costo della guerra, la quale non garantisce neppure la difesa di ciò che vogliamo con essa difendere».

La resistenza che don Mazzolari propone è quella nonviolenta, che si situa idealmente sulla scia degli insegnamenti di Gandhi e di Martin Luther King. Solamente la nonviolenza può abbattere le divisioni e le inimicizie; la guerra e la violenza invece moltiplicano i problemi e i contrasti, diffondono odio e desiderio di vendetta. Don Mazzolari precisa chiaramente poi il significato del termine nonviolenza.

«La nonviolenza non va confusa con la non resistenza. La nonviolenza è come dire: no alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza, non dicono né sì né no. La nonviolenza si manifesta nell’impegnarsi a fondo. La nonviolenza può dire con Gesù: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada». Ogni violento presume di essere un coraggioso, ma la maggior parte dei violenti sono dei vili. Il nonviolento, invece, nel suo rifiuto a difendersi è sempre un coraggioso. Lo scaltro che adula il tiranno per trarne profitto e protezione, o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza bensì gioca con essa al più furbo. La scaltrezza è violenza doppiata di vigliaccheria ed imbottita di tradimento. La nonviolenza è al polo opposto della scaltrezza: è un atto di fiducia nell’uomo e di fede in Dio; è una testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico».

Vi è poi la condanna chiara e netta della corsa agli armamenti, definita «una follia: le armi si fabbricano per spararle. L’arte della guerra si insegna per uccidere». Da tempo, denuncia don Mazzolari, si tengono congressi e riunioni per ridurre gli armamenti, ma intanto si inventano sempre nuovi micidiali ordigni. Se si condanna la guerra senza alcun tipo di eccezione, allora è possibile iniziare a ridurre gli armamenti; se invece si ammette che in alcuni casi la guerra è giusta, allora anche gli armamenti sono ammessi.

«La nostra arma di difesa è la giustizia sociale più che l’atomica. Abbiamo fatto innumerevoli esperimenti, proviamo alla fine anche questo. È il riarmo più efficace. Chi pensa di difendere con la guerra la libertà, si troverà con un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere con la guerra la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l’idea e la passione della giustizia»[4].

La storia per don Mazzolari è stata veramente “maestra di vita”: dopo aver conosciuto direttamente come cappellano militare il primo conflitto mondiale con tutte le sue immani atrocità, dopo aver percorso gli anni della devastante Seconda guerra mondiale, il parroco di Bozzolo non ritiene più concepibile che un conflitto possa essere eticamente accettabile o giustificato. Da qui la declinazione di un nuovo vocabolario per la parola pace. Tu non uccidere è così il frutto dell’esperienza di una vita, la conseguenza di un’attività pastorale attenta a leggere la realtà e protesa a individuare nuove strade da percorrere.

Tutta questa nuova riflessione affonda le sue radici nel Vangelo, un testo che per don Mazzolari è da prendere alla lettera, senza aggiunte.

 

[1] Le due lettere in A. Chiodi (a cura di), Mazzolari. Nella storia della Chiesa e della società italiana del Novecento, San Paolo, Milano 2003, pp. 208-210.

[2] “Adesso”, 15 settembre 1950.

[3] Il libro Tu non uccidere è stato ripubblicato dalle edizioni San Paolo nel 1991 con un’introduzione di Arturo Chiodi e prefazione di mons. Loris Francesco Capovilla. Qui si fa riferimento all’edizione del 1965 de La Locusta.

[4] Tutte le citazioni riportate nell’articolo sono tratte da P. Mazzolari, Tu non uccidere, La Locusta, Vicenza 1965.

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