Bisogna essere duri di cuore per non commuoversi, almeno un attimo, entrando nella musica così “umana” e nella dimensione del “perdono” di quest’opera popolarissima. E talora incompresa. Infatti, la storia dell’ex cortigiana Violetta che scopre l’amore autentico e dà la vita per esso è una di quelle pièces tanto vere, palpitanti di una musica delicatissima, che fanno bene e male al cuore. Bene per la loro verità e male per il dolore che contengono.
Non sembrerebbe che la regista abbia avuto sempre questo punto di vista affollando il palcoscenico di continuo – anche nei mirabili Preludi che andrebbero solo ascoltati ed interiorizzati invece -, approntando lugubri processioni, e rivedendo il racconto come in un flashback mortuario in cui Violetta ripensa al passato ora che si sta spegnendo. Scelta da rispettare, ma forse una lettura più approfondita della musica e del libretto avrebbe portato ad una rappresentazione più sobria, meno spettacolare di una donna sola, dentro e fuori di sé, piuttosto che ad una attualizzazione fin troppo ricercata.
Fin dal principio con il busto immenso di bronzo di un corpo decapitato, il senso simbolico del “monumento” era chiaro, efficace, ma poi lungo il percorso il “simbolo” si è perso per eccesso di “visioni” e di azioni. Violetta, con tanto di tatuaggi, cioè il soprano Corinne Winters ha dovuto offrire una prova di forza attoriale e canora non indifferente, e ci è riuscita in modo interessante ed anche bello (vocalmente) in diversi momenti, insieme al baritono Gustavo Castillo (meno efficace il tenore Piotr Buszewski).
Dalla regia alla direzione musicale di Lanzillotta. Si diceva di eleganza, e in realtà questo direttore ancora giovane ma esperto e studioso, ha un gesto calmo, preciso, non enfatico di uno che sa quel che vuole e lo ottiene spesso dall’orchestra, che nello scenario aperto di Caracalla, bellissimo visivamente, risulta non facile da equilibrare quanto a sonorità. Impegnato il coro ed anche il corpo di ballo assai efficace.
In un lavoro pure molto personale del privato di Verdi, sarebbe utile avvicinarsi ad esso con una sorta di umiltà, senza egocentrismi interpretativi, per non disperdere o per lo meno far entrare il pubblico in una storia d’amore raccontata da una musica così alta e sobria che, anche da sola, dice tutto.