Tra violenza e sfruttamento

Il quotidiano The Hindu, una delle testate più datate e prestigiose del gigante asiatico ha svolto recentemente un’accurata indagine sulla questione della violenza sulla donna. Rapporti sociali molto complessi dietro i tanti fatti di cronaca riportati dai media internazionali
The Hindu

Negli ultimi dodici mesi dall’India sono spesso arrivate notizie di violenza sulle donne, casi di stupro anche su minori, che hanno suscitato raccapriccio. Si tratta di avvenimenti dolorosi, che mettono in luce uno degli aspetti senza dubbio più contraddittori di un mondo come quello indiano dove la donna continua ad essere oggetto di violenza e sfruttamento, ma anche ad avere un ruolo fondamentale nella società. Sarebbe sufficiente pensare che Indira Gandhi ha governato per quasi un ventennio la più grande democrazia del mondo, quasi unica donna in politica negli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso.

Già tempo fa avevamo avuto occasione di mettere in evidenza come la violenza sulla donna nel Paese asiatico affonda le sue radici in questioni ben più complesse di quelle apparenti di semplice violenza fine a se stessa. Si tratta di fatti spesso legati alla struttura castale e al ruolo sociale dei dalits, i fuori casta, ma anche a consuetudini secolari che nascondono problematiche difficili da capire a chi non vive in quell’ambiente. A conferma di quanto complessa sia la questione della violenza sulla donna, ha recentemente contribuito un’accurata indagine, svolta nel corso di vari mesi, dal quotidiano The Hindu, una delle testate più datate e prestigiose del gigante asiatico.

Lo studio si è protratto per sei mesi ed ha analizzato una notevole quantità di casi di violenza sulle donne. Uno dei risultati più sorprendenti è stato l’appurare che in un terzo dei casi esaminati nel corso di un anno si trattava di atti che avevano coinvolto coppie consenzienti, dove i genitori della ragazza venuti a conoscenza dei fatti avevano denunciato il ragazzo di violenza, ovviamente, per non perdere il buon nome della famiglia e garantire che la figlia si potesse ancora sposare con un matrimonio combinato socialmente accettato.

L’esame della testata indiana si è concentrato su casi di violenza avvenuti nel nord India e finiti in tribunale a Delhi, la capitale. Sono stati esaminati circa 600 casi di questo tipo con interviste ai giudici a capo dei diversi collegi e tribunali, a magistrati che hanno ricoperto il ruolo di Pubblico Ministero, ma anche a rappresentanti di ONG che lavorano nel campo della promozione e della difesa della donna. Molte delle intervistate sono state proprio donne. Da questa lunga analisi è emerso un panorama ben più complesso dell’immagine, sia pure realista, di Delhi (ed in generale del nord del Paese), come centro di assalti fisici a donne di ogni età. In generale, dei casi ufficialmente registrati nel 2013 (a Delhi sono stati 1.636 e presumibilmente sono solo una parte di quelli realmente accaduti) ed arrivati alla fase processuale – molte denunce vengono ritirate con diverse motivazioni – circa il 40 per cento erano legati a casi di rapporti consenzienti. Per via della forte pressione sociale che determina i complessi meccanismi nei matrimoni combinati ancora in stragrande maggioranza, soprattutto nelle aree rurali, quando due giovani innamorati decidono di sposarsi contro i modelli sociali, fuggono per riapparire, dopo qualche tempo, regolarmente sposati civilmente.

Come accennato, la denuncia in questi casi è da parte dei genitori della ragazza verso il ragazzo per violenza carnale. La maggioranza di questi casi esaminati dai giornalisti di The Hindu, hanno appurato che la ragazza stessa aveva dato il consenso alla decisione di fuggire ed era consapevole dell’atto e delle sue conseguenze sociali. Notevole anche la percentuale (il 25 per cento) di casi che sono finiti in tribunali dopo che la promessa di matrimonio non è stata mantenuta. Resta, infine, un numero di atti di violenza di uomini nei confronti di minori, soprattutto negli slums della metropoli o delle sue immense periferie, a cui contribuisce anche la promiscuità insita nella natura stessa di questi ambienti delle baraccopoli.

Un risultato interessante emerso dalla ricerca riguarda l’alto numero di accusati o di coloro che hanno registrato un’accusa, e che, successivamente, si rifiutano di apparire in tribunale per sostanziare l’accusa o per testimonianza. Molti fra di essi ammettono di aver inventanto la denuncia. In varie occasioni la ragazza viene costretta a ritirare l’accusa per eliminare, almeno apparentemente, l’onta che la famiglia intera deve subire affrontando un processo pubblico, ma non sono pochi i casi di coloro che hanno ammesso di aver ricevuto un compenso per aver formulato una denuncia falsa. In non pochi casi, si tratta anche di questioni di proprietà nel complesso tessuto sociale indiano.

Da quanto appena detto, si comprende il tasso relativamente basso di condanne nei casi esaminati: solo il 23 per cento dei processi svoltisi nella capitale per violenza carnale o stupro si sono conclusi con una condanna dell’imputato o imputati.

Un ulteriore fattore di complessità nell’ambito di quanto esaminato sta nel ruolo delle famiglie delle ragazze. Spesso, sono proprio i membri delle loro famiglie che sottopongono figlie, nipoti o sorelle a violenza fisica, costringendole ad abortire o tenendole confinate tra le mura domestiche. Spesso si tratta di unioni consensuali (fra la coppia) ma osteggiate dalle famiglie perché di caste diverse e, quindi, non approvate dal segreto, ma ancora rigido codice sociale che vive in India, soprattutto, ma non solo a livello rurale. Tuttavia, questi casi arrivano in tribunale perché la legge deve appurare se erano o meno minorenni all’atto della decisione di fuggire e, eventualmente arrivati alla maggior età, di sposarsi civilmente.

Infine, non mancano anche fra i casi più recenti vere e proprie invenzioni di storie per salvare la propria dignità e nascondere una gravidanza indesiderata. Dal panorama, comunque, emergono ugualmente particolari raccapriccianti: violenza gratuita sulle donne, spesso su quelle particolarmente vulnerabili. Sono, in generale, donne che vivono da sole, o sono fuggite di casa per diversi motivi o, all’interno della famiglia stessa da padri, zii o cugini in un ambiente dove vige ancora la famiglia patriarcale con diverse generazioni che vivono sotto lo stesso tetto e, spesso, in spazi molto ristretti che favoriscono promiscuità. Purtroppo, non di rado sono gli stessi poliziotti a compiere atti di violenza gratuita, e coperta dall’omertà, su giovani che hanno già subito violenza e che si trovano in balia dell’ordine pubblico.

La recente revisione della legislazione indiana, processi per direttissima e pene che possono arrivare alla sentenza capitale, possono contribuire a scoraggiare la violenza sulle donne, ma anche offrono il campo a manipolazioni.

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