Testimoni credibili in un mondo diseguale

Leggere i segni dei tempi attraverso la storia recente dell'America Latina
Diritti umani

Oscar Arnulfo Romero fa parte dello sparuto gruppo di pastori della Chiesa che alla dilagante violenza e all’ingiustizia imperante nei loro paesi dell’America Latina seppero opporre la parola del Vangelo. Possiamo riconoscere figure come i vescovi argentini Vicente Faustino Zazpe ed Enrique Angelelli (morti o perseguitati in circostanze mai chiarite) e Jorge Novak, e, in Brasile, il leggendario dom Hélder Cámara. Non bisogna pensare che affrontarono la persecuzione, le minacce o, addirittura, il martirio con spavaldo coraggio. Col cuore in gola Novak prestava orecchio di notte ai rumori che gli avrebbero rivelato i gruppi paramilitari o militari erano venuti a prendere lui. Così come le sventagliate di mitra contro le finestre intimorivano certamente dom Camara.

 

Erano uomini spesso dolorosamente soli, e son diventati eroi per amore del prossimo e non per sprezzo del pericolo. E ciò li fa imitabili, oltre che ammirabili. Essi seppero comprendere. Seppero andare al di là della loro formazione, della loro cultura per cogliere che qualcosa di grave stava accadendo. Sbaglierebbe chi volesse iscriverli fin dall’inizio della loro storia a un presunto progressismo illuminato. Tutt’altro. Spesso, come nel caso dello stesso Romero, di Camara o di Novak, in altre circostanze avrebbero alimentato piuttosto un sano sentimento conservatore.

 

Furono le circostanze a svegliare le loro coscienze, fu il dolore della gente, l’ingiustizia a muovere le loro anime fino al punto di assumersi i rischi legati alla coerenza ai dettami evangelici: «Quando altrove ci chiudevano in faccia le porte delle istituzioni o delle parrocchie, perché eravamo delle “pazze”, la porta di Novak si aprì per noi e ci ricevette e ci appoggiò», raccontava qualche anno fa Estela de Carlotto, la presidente di Abuelas de Plaza de Mayo che insieme a Madres de Plaza de Mayo da anni cerca di ritrovare i corpi dei desaparecidos o di restituire l’identità dei bambini nati nelle carceri clandestine della dittatura.

 

Come ripeteva spesso il vescovo Angelelli, esercitavano la loro pastorale prestando «un orecchio al popolo e l’altro al Vangelo». E a quell’orecchio giunse il dolore della gente, il terrore seminato da uno spietato terrorismo di stato che si macchiò di colpe ancora più atroci di quelle della sovversione. Le dittature in America Latina non imposero solo un regime politico, ma anche un sistema economico. L’effetto deleterio ch’esse produssero, infatti, si è protratto ancora per tutto l’arco degli anni Ottanta e Novanta, continuando ad accentuare le disuguaglianze.

 

L’America Latina, infatti, non è la regione più povera del pianeta, ma la più ineguale. Le “favelas”, le villa miseria, i cantegrile secondo i nomi che le bidonville assumono in ogni Paese, convivono fianco a fianco con i quartieri privati più lussuosi. Il manuale del neoliberismo, scritto in parte altrove, è stato applicato esemplarmente in queste terre.

Furono gli anni delle crescenti sperequazioni, un debito estero spesso artificiale si moltiplicò varie volte fino all’impossibilità di pagarlo, furono gli anni delle successive privatizzazioni selvagge, del capitalismo più osceno. Un circolo vizioso che si alimenta.

 

Perché diseguaglianza significa mercato determinato dai settori più forti economicamente, dunque anche consumo di beni accessibili solo per tali soggetti e, quindi, anche investimenti diretti alla produzione di tali beni e non di altri. È un circolo che si chiude replicando ovunque povertà, emarginazione de esclusione.

 

L’«orecchio all’ascolto del popolo» fece comprendere a Romero ed agli altri tali dure circostanze storiche. E li mosse a ricordare che il Vangelo annuncia il Padre nostro, ma ci invita procurarci il pane nostro; che l’amore è anche giustizia, quella che perdona il figlio prodigo, ma che ammonisce: «Guai a voi ricchi…», quella che «colma di beni gli affamati», depone «i potenti dai troni» e rimanda «a mani vuote i ricchi».

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