Meursault è un impiegato trentenne ad Algeri. Indifferente a tutto: la morte della madre, la passione per una donna, l’uccisione di un arabo, la condanna. E il giovane attore Benjamin Voisin, enigmatico e angelico al contempo, gli dà corpo, voce, fiato. Difficile e per nulla scontato far rivivere Lo Straniero di Camus, anno 1942, sullo schermo. Per Visconti non era andata bene, nonostante Mastroianni, ma forse il risultato sarebbe stato migliore con Alain Delon.
Comunque, il prolifico Ozon ci ha riprovato con L’ Étranger e, oltre le suggestioni letterarie, i documentari sul colonialismo francese – che non è mai morto, ha solo cambiato vestito –, il racconto girato con grandi silenzi in bianco-e-nero non lascia indifferenti, ben oltre il tono nichilista che anche oggi attraversa l’Occidente. E fa pensare a quanti si sentano “stranieri” nella vita, aldi là dei motivi anagrafici o geografici. Ozon filma un racconto dove vince la bravura dei protagonisti, Voisin e Rebecca Mander che ci inoltrano in una storia che non è passato, ma presente. È questo forse il merito del lavoro di Ozon che fa bruciare di passione l’apparente freddezza vuota dello “straniero”. È dunque passione, pur se “svuotata” di senso, a quanto parrebbe.
Per nulla calmo è invece il film dell’americana Kathryn Bigelow, al Lido dopo otto anni, con A House of Dynamite, un titolo che dice già molto. Si tratta di un thriller politico, molto applaudito in sala. Forse perché il soggetto interessa, eccome. Si chiama: minaccia atomica e coinvolge gli States. Tutto si svolge tra la Casa Bianca, il centro di controllo del sistema nucleare, la sala stampa. C’è un missile forse nordcoreano che potrebbe uccidere i 10 milioni di abitanti a Chicago, si tratta di fermarlo entro una decina di minuti, o poco più.
La trama è chiara, la messinscena realistica, la tensione alle stelle, i caratteri scolpiti con incisività. La capo Rebecca Ferguson si consulta con il presidente Idris Elba, una specie di Obama, sul che fare. C’è una ansia che coinvolge anche la sala. È una frenesia collettiva che accomuna esperti generali, impiegati con le loro vite di figli, progetti, amori dentro un mondo che potrebbe sparire. La politica attuale ovviamente ha offerto lo spunto al film, se si pensa che sono aumentate le nazioni che possiedono le armi nucleari, nonostante il progetto al contrario deciso dopo l’ultima guerra mondiale.
Teso e vibrante, il film dimostra che viviamo in un mondo che può essere distrutto e di cui però fingiamo di ignorare la pericolosità. Potente è il messaggio morale che ne scaturisce. Non è il solito thriller politico, è una sveglia che la regista ci dà per non vivere nelle illusioni di una pace fragilissima.
La morte incombe anche da noi, come racconta Daniele Vicari in Ammazzare stanca, tratto dal libro di Antonio Zagari, pentito della ’Ndrangheta. Un racconto violento, girato come è nello stile di Vicari con rapidità, scavo acuto dei caratteri, azione senza indulgere a troppi dettagli. È un mondo – per nulla finito – che ci si rivela: violenze di vario genere, paura, la rete della “famiglia allargata” che si espande ovunque, potentissima, silenziosa, inosservata. Il ritmo è cardiaco, la recitazione serrata da parte di attori come Rocco Papaleo, Vinicio Marchioni, Gabriele Montesi. Cupo, indagatore, passionale nel male. Che esiste, anche se spesso si nasconde.