Era un uomo fortunato, Ioakim. A lui si s’addiceva il detto della Bibbia attribuito al saggio Gesù figlio di Sira: «Beato il marito di una brava moglie; il numero dei suoi giorni sarà doppio. Una donna virtuosa è la gioia del marito, questi trascorrerà gli anni in pace». Susanna, sua moglie, era così. Un incanto. Bella, laboriosa, umile, dolce. E timorata del Dio d’Israele. Colma di attenzioni nei riguardi di suo marito. Gli uomini la guardavano con impudenza. Per riguardo del marito non osavano nulla, ma nella penombra dei loro pensieri, osavano. E nei loro pensieri, osavano pure quei due anziani giudici che, a dir il vero, a Susanna non erano mai piaciuti. Ioakim era ricco, potente, e i due giudici si prodigavano in adulazioni e gesti servili nei suoi confronti. Susanna aveva provato a dire al marito: «Attento, quei due sono dei poco di buono». Ma lui l’aveva liquidata con un «tutte storie!». Era pieno di sé Ioakim.
Un giorno, mentre erano in corso riunioni a casa di Ioakim, i due giudici, consumati dalla passione, decisero di agire. Sapevano che ogni giorno d’estate, verso mezzogiorno, Susanna si recava nel giardino della villa e che, dopo aver congedato le ancelle, faceva chiudere il cancello, si spogliava ed entrava nella piscina per concedersi un bagno in beata solitudine. Quel giorno i due, con una scusa, lasciarono la riunione, fecero finta di dirigersi verso l’uscita della villa, attraversarono il parco e s’infilarono nel giardino recintato, prima che le ancelle lo chiudessero. Si nascosero dietro ai grandi alberi che circondavano la piscina. Susanna arrivò con le ancelle. Tutto si svolse come al solito. Quando fu sola, si spogliò ed entrò nell’acqua. Al vederla nuda, i due vecchi giudici s’infiammarono. S’accordarono all’istante su chi l’avrebbe posseduta per primo. Quindi si fecero avanti. Susanna urlò. Uscì dalla piscina e cercò di coprirsi con cosa trovò. «Inutile che urli – la intimidirono i due ‒, nessuno ti sente, sono tutti nel palazzo. Concediti a noi. Se non lo fai, ti accuseremo. Diremo che un giovane era con te e per questo hai fatto uscire le ancelle». «Vigliacchi! ‒ gli urlò in faccia Susanna ‒. So che non potrò scampare dalla vostra perfidia. Ma non mi avrete mai! Per me è meglio morire, che peccare davanti al Signore». Poi si mise a urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. I due anziani capirono che non la avrebbero mai avuta. Scattò il piano B. Anche loro si misero a gridare forte. Corsero ad aprire le porte del giardino, e chiamarono a gran voce i servi. Dovevano parlare con Ioakim, urgente! Fingendo d’essere scandalizzati, fecero il loro resoconto: un giovane era con Susanna, si stava unendo a lei, per fortuna noi eravamo nei paraggi, abbiamo visto tutto, siamo accorsi e lui è fuggito nudo nel bosco. «Tua moglie è un’adultera, Ioakim. Sai cosa prevede la legge!».
Ci fu il processo. Immediatamente, come accadeva allora. Susanna venne accompagnata in tribunale dai genitori, dai figli, da parenti e amici, che piangevano con lei. Sapevano che era impossibile contrastare la parola dei due giudici. Susanna era spacciata. Il gran giudice infatti accettò la testimonianza dei due anziani colleghi. E condannò a morte Susanna, per adulterio. Tra la folla si levarono pianti, ma anche mormorii d’approvazione. «L’avevo sempre detto che quella santerella era una poco di buono!», dissero molti e molte, nemmeno a voce troppo bassa. Susanna alzò lo sguardo al cielo e sussurrò all’Eterno: «Tu che conosci i segreti dei cuori, tu sai che hanno deposto il falso contro di me. Io muoio innocente».
La sentenza sarebbe stata eseguita all’istante. Lapidazione. Cioè, sarebbe stata eseguita… se tra la folla che seguiva il processo non ci fosse stato Daniele. Giovane, ma ben noto tra gli ebrei della diaspora babilonese per la sua grande sapienza. Daniele fece un gesto con la mano. E tutti si fermarono. Riconoscevano una grande autorità a Daniele. Ci fu silenzio. A voce alta Daniele sentenziò: «Questa donna è innocente!». Mormorii. Tutti gli sguardi erano posati su di lui. Daniele continuò: «Ve lo posso dimostrare». Tensione alle stelle. Quindi si sedette in tribunale. Disse: «Separateli l’uno dall’altro e li interrogherò». Separati che furono, Daniele chiese al primo: «Ti conosco da tempo. So che sei un poco di buono, che hai emesso sentenze ingiuste opprimendo gli innocenti e assolvendo i malvagi. Ora dimmi: sotto quale albero li hai visti stare insieme?». Rispose: «Sotto un lentisco». «Sicuro?». «Sicuro come esiste il Dio d’Israele!». Daniele fece chiamare il secondo. «So quello che tu e il tuo compare avete fatto a diverse donne giudee. E che esse per paura si univano a voi. Ma questa figlia di Israele non ha sopportato la vostra malvagità». La folla prese a indignarsi, a rumoreggiare.
Si preannunciava un #Me Too ante litteram? Daniele continuò: «Sotto quale albero li avete trovati insieme?». Lui rispose: «Sotto un leccio». «Ne sei certo?». «Come è vero Dio!». Il suo compagno sbiancò. La folla iniziò a insultarli. Quelli del clan di Susanna si abbracciavano, piangevano di gioia. Susanna era salva. Molti e molte dei presenti, che prima avevano malignato su di lei, si misero a citare il vecchio passo della Bibbia che conoscevano a memoria: «Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore». Capita così, con la folla. I due giudici furono condannati. Un gran bel finale, per questa storia. Uscendo dal tribunale, Susanna guardò con riconoscenza Daniele. Ma a casa, come avrà guardato Ioakim, il marito, che durante il processo era scomparso e per lei non aveva mosso neppure un dito?
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