Sull’intelligenza artificiale

Sono sicuro che l'"intelligenza artificiale" porterà innumerevoli vantaggi nella nostra vita quotidiana. Tuttavia sono necessari i dovuti controlli sociali per evitare che le nuove tecnologie aumentino le differenze e le disuguaglianze.

Non ho dubbi sui grandi vantaggi e sul progresso che la cosiddetta “intelligenza artificiale” porterà alle nostre vite nei più svariati ambiti: lavoro, salute, comunicazione, politica…

Da questo punto di vista, trovo quindi lodevoli gli sforzi che si stanno compiendo per perfezionarla, con i dovuti controlli sociali in modo che non diventi ulteriore motivo di discriminazione e diseguaglianza.

Il problema che invece riscontro sta nel concetto stesso di intelligenza. Come filosofo faccio fatica a chiamare “intelligenza” qualcosa di artificiale. Non è questa la sede per approfondire un dibattito molto specifico tra tecnica, scienza e filosofia (addirittura teologia). Dibattito che, tra l’altro, è stato aperto da tempo in cerchie più adeguate. Mi limito perciò ad esporre qualche interrogativo.

Da un accreditato punto di vista della teoria della conoscenza, l’intelligenza è la capacità che hanno gli esseri umani – dotati di una struttura cerebrale ipersviluppata e iper-formalizzata – di cogliere la realtà in quanto realtà a partire dai dati che offrono i sensi. Si parla, quindi, di “intelligenza senziente”.

Questa intelligenza senziente, però, non si riduce alle attività puramente speculative, ma investe anche la sfera dei sentimenti e della volontà: ecco che si parla della “sentimentalità intelligente” e della “volontà intelligente”. Il fatto è che noi, grazie all’intelligenza, ci muoviamo tra cose reali.

Mi spiego meglio: per noi un tronco di legno con rami e foglie non è solo questo (che un arboricoltore o un esperto in genetica vegetale potrebbe spiegarci perfettamente), ma è un albero, una realtà molto concreta con un nome preciso. Nella nostra vita quotidiana noi ci muoviamo tra alberi, non tra strutture vegetali. E tutto ciò ha una base biologica, organica, corporea.

Ma la cosa più sconvolgente di questo muoverci nella realtà delle cose è che queste attività intelligenti (come possono essere ammirare l’albero, far di esso un rifugio, prendersi cura di lui, descriverlo poeticamente) cambiano anche noi stessi.

Anni fa conobbi un seminarista cileno che cadde da un albero sul quale era salito e rimase paralitico per il resto della sua vita. Questo cambiò tutto in lui. Dovette rinunciare al ministero, ma non per questo la sua vita si svuotò di senso: la sua intelligenza gli fece scoprire altre realtà, diverse, più alte e misteriose. Dimensione etiche inaudite si fecero presenti nella sua esistenza; la sua ragione divenne uno scrigno di sapienza. Quell’albero fu la chiave di volta della sua esistenza.

Mi domando se la cosiddetta “intelligenza artificiale” si muova davvero nella realtà delle cose, e se sarebbe capace di provocare in noi simili trasformazioni esistenziali nella piena libertà.

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