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Italia > Tempo per gli altri

Storie di migranti e volontariato

di Javier Rubio

- Fonte: Città Nuova

A Valencia, l’Istituto sociale del lavoro si dedica all’accompagnamento integrale dei rifugiati

Illustrazione di Marta Signori.

I dati 2023 dell’Instituto Nacional de Estadística (Ine) offrono uno sguardo sul fenomeno migratorio in Spagna. Nel 2023 si è registrato un aumento del numero di persone costrette ad intraprendere il percorso migratorio attraverso delle vie irregolari (52.945) rispetto al 2022. Tuttavia, questi numeri sono inferiori a quelli del 2018 (64.298). Lo scorso anno, quasi il 98% delle persone migranti sono arrivate via mare alle isole Canarie – una comunità autonoma spagnola –, attraversando i circa 110 chilometri di Oceano Atlantico che separano l’arcipelago dalla costa del Marocco.

In passato, la rischiosa avventura si concludeva spesso su un aereo che riportava le persone al punto di partenza, ma negli ultimi anni le politiche migratorie sono cambiate. Così, mentre nel 2018 sono state espulse o rimpatriate 11.153 persone, nel 2022 i rimpatri sono scesi a 3.642. Una diminuzione probabilmente attribuibile, per lo più, all’aumento delle richieste di asilo, dato che non è ammessa l’espulsione degli stranieri durante il periodo di esame della domanda di protezione.

L’arrivo di tante persone ha suscitato un problema politico nei rapporti tra il governo centrale e quelli regionali: come distribuire i migranti sul territorio nazionale? Le regioni che hanno accolto un numero maggiore di persone sono state Andalusia, Canarie, Catalogna, Madrid e Comunità Valenciana. La prospettiva però cambia se si considera il numero di immigrati ogni 100 mila abitanti. Così, ai primi posti si trovano le città autonome di Ceuta e Melilla – enclaves spagnole in Marocco – e appunto le Canarie, mentre il resto delle regioni spagnole non arriva a 200 immigrati ogni 100 mila abitanti: così, per esempio, l’Andalusia ne ha 116, la Catalogna 77 e la Comunità Valenciana 61.

A Valencia, i membri della comunità dei Focolari sono in stretto rapporto di collaborazione con una delle organizzazioni che si curano dei migranti: l’Istituto sociale del lavoro (Iso). Fondato nel 1948 dalla Chiesa cattolica per assistere i lavoratori, dal 2002 si occupa anche di rifugiati e richiedenti asilo. Tra le numerose attività dell’Iso, la gestione di appartamenti e case di accoglienza.

Dal 2018, con il sostegno del comune di Valencia, l’Istituto ospita anche famiglie e offre una casa temporanea, assistenza sanitaria, formativa, spirituale, legale, ecc. È un’ospitalità che coinvolge gli stessi volontari e operatori dell’Iso. Quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare sono fonte d’ispirazione e spingono all’azione, ad avviare processi che vanno oltre i limiti, la frustrazione e l’impotenza.

«La nostra accoglienza inizia con l’ascolto di chi arriva con una sofferenza indicibile e un filo di speranza», racconta una delle assistenti sociali. Naturalmente, per integrarsi c’è bisogno di alloggio, cibo, sostegno. «La nostra sfida – aggiunge – è offrire una formazione adeguata. Poi, molti continuano il loro percorso in modo più sicuro».

Proteggere significa salvaguardare la dignità e i diritti violati. Gli ostacoli a livello amministrativo e legale costringono spesso a cercare soluzioni creative. Come il programma “Ospitare a casa mia”, che mette in contatto un migrante o una famiglia migrante con una famiglia ospitante che offre alloggio e assistenza. «È iniziato con una famiglia dei Focolari che ha ospitato una giovane coppia ucraina richiedente protezione internazionale», racconta una volontaria dell’Iso. Hanno iniziato con brevi soggiorni, fino ad aprire le porte della loro casa e, soprattutto, quelle del loro cuore: una ricchezza per entrambe le famiglie e un incoraggiamento per altri.

In questi “rifugi” convivono spesso persone con storie difficili e provenienti da aree geografiche diverse. Condividono tavola, speranze, fallimenti, risate e lacrime. E spesso accade «che la casa diventa un luogo sacro, una casa di saggezza, dove le ferite tra i popoli e le credenze si rimarginano». Raccontano: «In un momento di incontro condiviso da ortodossi, cattolici e musulmani, basta il silenzio o uno sguardo o una preghiera secondo il credo di ciascuno per sentirsi fratelli. E le paure scompaiono».

È quello che è successo nel maggio 2019, quando è arrivata a Valencia la Croce di Lampedusa, una grande croce realizzata con il legno delle barche e dei relitti dei migranti, che rappresenta la sofferenza e il dramma di chi muore in mare o alle frontiere dell’Europa. Papa Francesco ha benedetto quella croce durante il suo viaggio in quell’isola, e ha chiesto che facesse il giro del mondo. «L’abbiamo portata alla casa di accoglienza di Valencia per festeggiare il decimo anno della nostra attività con una preghiera interreligiosa. Qualcosa di indimenticabile».

Volontari, rifugiati e richiedenti asilo presso l’Istituto sociale del lavoro di Valencia (Spagna) attorno alla Croce di Lampedusa, realizzata con il legno delle barche e dei relitti dei migranti.

Una rete di volontari porta avanti laboratori di cucito e di cucina, corsi di sostegno scolastico, di spagnolo, di chitarra, con ascolto e accompagnamento… L’Iso collabora con le scuole della città in attività dove la cosa più importante sono i rapporti tra tutti, migranti e locali. I sogni dei giovani accolti non sono molto diversi da quelli di molti ragazzi valenciani: sicurezza, lavoro, studio, imparare una professione, vedere i propri figli crescere sani… «Non sono sogni irrealizzabili. Dipende da tutti renderli possibili. Senza sogni, l’umanità non avanza», dicono i volontari dell’Iso, e non esitano a sottolineare che il loro sogno è «vedere quei sogni diventare realtà». E il più ambizioso è «arrivare ad una società più fraterna, con una legge sull’immigrazione che favorisca l’integrazione».

María del Carmen González, focolarina e assistente sociale, ha lavorato per anni all’Iso di Valencia. Da tre anni si è trasferita nel focolare di Martil, in Marocco, da dove continua a lavorare per l’Iso per questioni amministrative e rapporti internazionali. «La nostra esperienza ha le sfumature della diversità, sia tra i membri dei Focolari, sia nel Paese che ci accoglie. La lingua, la cultura, il cibo, i taxi collettivi, i carretti di frutta e verdura che vendono per la strada, la chiamata alla preghiera che invita anche noi a raccoglierci…». E aggiunge: «Le persone che abbiamo trovato ci hanno reso tutto più facile. Stiamo studiando il darija, un dialetto arabo, e quello che abbiamo imparato è che… è molto difficile! Ci capiamo però, nonostante la lingua, e ogni giorno scopriamo la grandezza di Dio in tutte le diversità».

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