Negli ultimi anni il Ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato da Giuseppe Valditara, ha avviato una profonda revisione delle Indicazioni nazionali relative al curricolo scolastico dei primi cicli della scuola dell’obbligo, con particolare attenzione all’insegnamento della storia. A spiegare l’esigenza di un cambiamento di sensibilità è stato il volume Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo, co-prodotto da Ernesto Galli della Loggia, docente di storia ed editorialista in alcuni dei principali quotidiani nazionali, e da Loredana Perla, pedagogista e docente di didattica.
All’interno della descrizione che ha accompagnato, fin dal 2023, l’uscita del volume, vi sono alcune frasi cariche di aspettativa riguardanti la proposta: «Non una semplice formulazione di nuovi contenuti didattici né un modo nuovo di articolare quelli tradizionali, ma qualcosa di più grande e diverso: dare un significato del tutto nuovo al senso dei programmi di alcune materie d’insegnamento dei primi due cicli della scuola dell’obbligo e, forse, all’intero ambito dell’istruzione nel nostro Paese».
Le nuove linee guida delineano una scuola che ritorna sull’importanza del racconto storico, della memoria, dell’identità nazionale, con un approccio che privilegia la narrazione rispetto al metodo filologico e all’analisi critica. Un elemento divisivo, che ha fatto rapidamente alzare il tono delle polemiche, riguarda la composizione della commissione incaricata di progettare le nuove linee: con una certa sorpresa, vista la centralità assegnata alla storia, essa è risultata composta esclusivamente da docenti e ricercatori nel campo della pedagogia, senza la partecipazione dichiarata di esperti della disciplina storica, ovvero storici accademici o insegnanti di storia con esperienza didattica diretta.
Tale scelta è stata più volte contestata dalle società storiche italiane, che, all’interno di vari comunicati, hanno denunciato una “distorsione”: non si può applicare un metodo pedagogico astratto e un’eccessiva semplificazione a un ambito disciplinare che ha metodi specifici – analisi delle fonti, pluralismo interpretativo – e che ha bisogno di non perdere la propria dose di complessità, per quanto rapportata all’età dei bambini e dei ragazzi.
Tra le innovazioni più discusse vi è l’enfasi su ciò che viene definito come parte delle “grandi narrazioni”: l’identità occidentale e cristiana, con l’uso dei classici (Iliade, Odissea, Eneide) e della Bibbia nelle classi elementari e medie, non solo come testi letterari, ma come fondamenti della cultura occidentale. Parallelamente, si segnala il ritorno del latino come opzione già dalla seconda media, un maggior uso dell’apprendimento mnemonico (poesie, testi classici) e una selezione dei contenuti storici più “essenziali”, con la riduzione della pluralità cronologica e tematica, ritenuta fonte di dispersione nel mare magnum delle conoscenze disponibili.
Ma è proprio sul versante dello spirito critico e del pluralismo, che dovrebbero costituire parte integrante del bagaglio culturale degli studenti, che si concentrano le maggiori preoccupazioni. In primo luogo ha destato dibattito l’affermazione iniziale secondo cui «solo l’Occidente conosce la storia», giudicata da molti come espressione di eurocentrismo e di una presunta superiorità culturale. Un’idea che rischia di portare con sé la subordinazione delle altre tradizioni storiche, senza le quali – si pensi a quelle islamiche ed ebraiche – risulterebbe incomprensibile lo strutturarsi della stessa civiltà occidentale.
Sebbene il documento riconosca che varie civiltà abbiano maturato esperienze storiche, le liquiderebbe come basate su documenti incentrati sui soli fatti eminenti, non sufficienti a considerare determinate culture storiche come sviluppate. Ciò, secondo i critici, è falso rispetto alle conoscenze attuali e rischia di ridurre la complessità storiografica e la varietà culturale oggi riconosciute anche nelle classi italiane, sempre più segnate dal pluralismo.
Un secondo nodo riguarda la riduzione del peso dato all’analisi delle fonti, alle interpretazioni multiple, alle controversie storiografiche. L’insegnamento della storia non può limitarsi al solo racconto, ma è anche indagine, critica, confronto: senza questi strumenti, gli studenti rischiano di restare impreparati a valutare il passato in rapporto al presente, o a distinguere le verità storiche dalle narrazioni strumentali. Con un accento troppo esclusivo sull’identità nazionale, vi è poi il rischio che la storia delle minoranze, delle controversie, delle memorie divergenti, come pure le questioni ambientali, le prospettive di genere e la storia dello sviluppo tecnologico, non ricevano lo spazio che meritano.
Il racconto storico rischia così di trasformarsi in una narrazione unificante e monotematica, piuttosto che in un laboratorio critico in cui la pluralità trova spazio e contribuisce alla costruzione della realtà sociale. Un terzo punto riguarda la prescrittività del curricolo: il documento sembra proporre programmi molto dettagliati (“passi obbligatori”) e margini ridotti di libertà per gli insegnanti. Ciò può entrare in conflitto con la libertà d’insegnamento sancita dalla Costituzione italiana, che garantisce ai docenti la possibilità di adattare i contenuti al proprio contesto e al livello della classe. La relazione docenti-studenti resta dunque fondamentale, poiché la didattica contemporanea privilegia un apprendimento circolare, orizzontale e dialogico, più che trasmissivo.
Confrontando quanto proposto con le linee precedenti – le Indicazioni Profumo del 2012, a loro volta eredi della riforma pensata da Tullio De Mauro nel 2007 – si nota come negli ultimi decenni, pur con dei limiti (eccessiva dispersione cronologica, definizioni generiche), si cercasse un equilibrio tra competenza critica, pluralismo, uso delle fonti e prospettive globali. Le nuove linee, salvo correzioni, appaiono più inclini a un modello tradizionale e identitario, con minore attenzione al dialogo tra complessità globale e diversità interna, che oggi caratterizza non solo il contesto geopolitico, ma anche la quotidianità dei luoghi di apprendimento.
Considerando che l’adozione delle linee guida richiederà formazione dei docenti, preparazione di manuali, risorse per le scuole e monitoraggio dei risultati, esiste il rischio che i cambiamenti restino solo sulla carta o che si creino disuguaglianze tra scuole con risorse diverse. Peggio ancora, che si delinei una contrapposizione tra scuole tradizionaliste e scuole progressiste. L’educazione storica non dovrebbe essere un terreno di scontro ideologico, ma uno spazio di costruzione condivisa. Su questo non ci si può dividere: ogni studente ha diritto a una formazione storica plurale e critica, che lo abitui a distinguere, interrogarsi e riconoscere la pluralità delle voci.
Una scuola che voglia preparare cittadini consapevoli non può rinunciare alla tensione tra memoria e critica, tra identità e apertura al mondo. Le linee guida potranno cambiare forma e linguaggio, ma il nucleo non negoziabile resta questo: garantire a tutti gli studenti l’accesso a una storia viva, critica e aperta, che li renda capaci di affrontare la complessità del presente.