Sotto un “ciel d’oro”

Il 28 agosto, festa di sant’Agostino, ci ricorda che da secoli le spoglie del grande padre della Chiesa riposano a Pavia
Basilica di San Pietro in Ciel d'oro - Pavia

Contemplo tristemente ciò che rimane, accanto al Duomo, della medievale Torre civica – uno dei simboli di Pavia – sgretolatasi improvvisamente il 17 marzo 1989 e mai più ricostruita “com’era e dov’era”: ciò che invece riuscì ai veneziani per il loro campanile di San Marco, rifatto tale e quale dieci anni dopo il rovinoso crollo del 14 luglio del 1912 – e fu impresa molto più impegnativa. Altri tempi, si dirà. Per consolarmi della ferita inferta al centro storico dell’antica capitale longobarda, raggiungo senza indugio la basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, gioiello del romanico-lombardo, miracolosamente giunto fino a noi nonostante le devastazioni e trasformazioni subite in epoche passate, che deve il suo nome alla decorazione in foglia d’oro del primitivo soffitto ligneo.

Per quanto questo tempio dalla possente facciata a capanna sia ricco di opere d’arte, tutto sembra far corona soltanto ad un’unica meraviglia: la monumentale Arca di sant’Agostino, che troneggia nel presbiterio. Non molti sanno, infatti, che le spoglie del vescovo di Ippona sono gelosamente custodite, da secoli, in questa città a misura d’uomo e quasi inadeguata a contenere la grandezza d’un personaggio sul quale si calcola che in tutto il mondo viene pubblicato un libro al giorno.

Già, ma com’è arrivato fin qui colui che molti considerano il più grande dei padri e dottori della Chiesa? Dopo la sua conversione a Milano per opera di sant’Ambrogio, l’avevamo seguito in Brianza, dove s’era ritirato con alcuni parenti e amici per dedicarsi alla preghiera e allo studio delle Scritture, poi a Ostia, pronto ad imbarcarsi per l’Africa (e qui l’episodio della morte di Monica, la madre), e finalmente nella sua terra d’origine, eletto vescovo di Ippona e qui morto nel 430, mentre la città era assediata dai vandali. Traslate in Sardegna per sottrarle a eventuali profanazioni, nel 725 le venerate reliquie furono da re Liutprando acquistate a caro prezzo dai saraceni, e finalmente trasferite in questa basilica, dove sono sepolti lo stesso re longobardo e Severino Boezio, il santo martire le cui opere ebbero un influsso decisivo sulla filosofia del Medioevo.

Giunte a Pavia, immaginate che ebbero pace le ossa dell’ormai nuovo patrono di Pavia accanto a Siro? Ci sarebbe da scrivere un libro solo per narrarne le romanzesche peripezie. Fra l’altro, per depistare i ladri di reliquie, furono indicati ben tre sepolcri che le avrebbero accolte, e così bene rimasero nascoste che si finì per perderne dal memoria. Fino alla riscoperta nel 1695. La storia registra anche le accese dispute tra canonici lateranensi e frati eremitani, per spartirsi il privilegio di occuparsene, un po’ come accade purtroppo oggi in Terra Santa col sepolcro di Cristo.

L’urna in cui oggi riposa Agostino è protetta da una grata chiusa da quattro serrature distinte le cui chiavi sono custodite dal priore degli agostiniani, dal vescovo e dal sindaco di Pavia, e dal capitolo della cattedrale. Difficile dire quanto la presenza di un tale personaggio incida sul convivere culturale, civile ed ecclesiale pavese. Se è vero che i flussi di pellegrini, ammiratori e studiosi dal santo non sono mai mancati, ora più consistenti ora meno (anche i vip sono soggetti agli indici di gradimento nel corso del tempo!), dopo la visita, nell’aprile 2007, di papa Benedetto XVI, c’è stato un sussulto d’interesse riguardo all’Ipponate che ha visto nascere, grazie all’impegno di diverse istituzioni, anche molto prestigiose,  il “Comitato Pavia Città di sant’Agostino”, per valorizzare il grande Padre della Chiesa non solo in sede accademica ed ecclesiastica.

E finalmente eccomi davanti All’Arca in marmo di Carrara nella quale si concentra la maestosità e la bellezza del luogo. Creazione gotica del XIV secolo, alta quattro metri, a tre livelli, con 95 statue e cinquanta bassorilievi raffiguranti gli apostoli, figure simboliche ed episodi della vita di Agostino, fu concepita come una sorta di catechismo illustrato  per il popolo indotto. Nel secondo livello l’attenzione è attratta dalla scena di lui morente rivestito degli abiti pontificali. Mi vengono in mente le parole con cui Possidio, il primo biografo del santo, descrisse i suoi ultimi giorni di vita: «Fece trascrivere i Salmi davidici che trattano delle penitenza – sono molto pochi – e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua infermità li poteva vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci giorni prima di morire, disse a noi, che lo assistevamo, di non far entrare nessuno, se non nelle ore in cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da mangiare. La sua disposizione fu osservata, ed egli in tutto quel tempo stette in preghiera». E proprio così sembra di vederlo adesso, in attesa di entrare nella Vita, gli occhi socchiusi e la Bibbia in mano.
 

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