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Cultura > I film della settimana

Sotto le nuvole

di Mario Dal Bello

- Fonte: Città Nuova

In sala il bellissimo documentario di Gianfranco Rosi sulle terre vesuviane. Esce anche Duse di Pietro Marcello

Una foto di scena del film ‘Sotto le nuvole’ di Gianfranco Rosi, in Concorso alla 82ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 30 agosto 2025. ANSA/UFFICIO STAMPA PUNTO E VIRGOLA

Subito, i vapori di una solfatara nei Campi Flegrei. Poi, l’occhio si sposta sul golfo di Napoli, ampio, sul Vesuvio che lo domina, una presenza grigia, inquietante e rassicurante insieme. La fotografia in assoluto bianco e nero racconta una vita sotto le nuvole, sotto un cielo cinereo spesso, anche temporalesco, sul mare che bolle, si agita e si placa. È un universo, non una zona d’Italia, cioè Napoli e i Campi Flegrei.

Si agita e vive un popolo. I vigili del fuoco rispondono alle chiamate della gente: chi spaventato dalle scosse di terremoto, la donna picchiata dal marito, il maestro che a Torre Annunziata fa il doposcuola ai ragazzini nella sua biblioteca zeppa di libri e forse di ragnatele e parla loro dei Miserabili. L’archeologa innamorata del mondo antico che controlla i reperti accatastati durante lo sventramento di Napoli e che a lei parlano di una bellezza sempre viva, anche se tante statue sono senza testa e anche se i tombaroli del presente e del passato hanno lasciato le loro tracce, staccando gli affreschi e lasciando nude le pareti.

C’è poi l’équipe giapponese che da oltre 20 anni scava e finalmente trova un reperto che avvolge con cura devota proteggendolo dalla pioggia: è stupenda la visione di Pompei dall’alto sotto la pioggia che lava le vecchie pietre e copre di nembi grigi l’intera città. Il passato, e il presente, quello della recente pandemia e quello della nave ucraina che trasporta il grano con il marinaio siriano Abdoul: è nato tra le bombe e Napoli gli appare una oasi di quiete, come telefona ai parenti.

Un mondo più notturno che diurno, perché anche quando è giorno, il sole non si vede. Sono gesti, parole, occhi, corpi che il regista filma, ci comunica con un trasporto che non è solo realistico, ma poetico, diremmo quasi contemplativo. Sotto le nuvole che si gonfiano e si allungano nel cielo, accanto al mare che rumoreggia quando è calmo e vede due cavalli correre sulla spiaggia ‒ come in un quadro di de Chirico ‒, ferve la vita. Non la Napoli da cartolina con il centro restaurato per la gioia dei turisti, ma quella in qualche modo sotterranea, come i Campi Flegrei: un altro mondo. E c’è il mondo, perché vi arrivano gli orientali e i siriani, come sono arrivati i francesi e gli spagnoli.

Lo sguardo di Rosi è carico di una poesia vera, mite e affettuosa. Ogni frammento di vita è centellinato con immenso amore. Le scene si susseguono, si ripetono ma non si confondono, il racconto è armonioso. Con attimi di stupore commosso, come quando Rosi rivede il vecchio cinema ‒ dove si proiettava l’ultima eruzione del vulcano e quella antica su Pompei ‒, ora abbandonato, fatiscente: le sedie inesorabilmente vuote.

Morte e vita, ecco il “canto”, se così si può dire, di questo piccolo poema che si svolge nel Tempo, perché è lui, il Tempo che avvolge e distrugge ma anche conserva e scandisce la vita. In un universo sintetizzato da Napoli e dintorni sotto le nuvole. Esse conferiscono al racconto il tono della visione onirica e reale, non mescolata ma fusa e distinta. Da non perdere.

Può essere in qualche modo una “visione” il film di Pietro Marcello sugli ultimi tempi della celebre “Divina”, Eleonora Duse, scomparsa cent’anni fa. Non è la classica biografia più o meno romanzata, ma un tentativo di approccio all’attrice che a suo tempo ha rivoluzionato la recitazione con l’improvvisazione, l’uso del corpo, lo spasimo interpretativo che sconfinava nel privato, nella volontà di morire sul palco, di consumarsi pur di essere libera.

La Duse di questo film che si incarna nella storia ‒ la prima guerra mondiale, Mussolini, d’Annunzio, il viaggio della salma del Milite Ignoto fino a Roma ‒, è una donna irrequieta, malata, ingenua come una bambina, persa nell’arte, affettuosa ma anche indipendente, in contrasto con la figlia, intrappolata dal regime, stanca di d’Annunzio invecchiato, che non vuole fare cinema ma solo teatro. Vive circondata da una minuscola corte, si muove come una diva del passato, con attimi che sfiorano la follia.

Costumi raffinati, fotografia pittorica, musiche del veneziano Gianfrancesco Malipiero, e Venezia sopra tutto, gondole e fruscii d’acqua, palazzi e piccole chiese ove pregare, teatri e attori. E la malattia, a cui si ribella. Lei vive per il teatro che è vita, il cinema è finzione.

Marcello dirige benissimo gli attori in un racconto dai toni pure melodrammatici, forse talora esagerando nel dare libertà a Valeria Bruni Tedeschi che “diventa” la Duse anima e corpo, con il rischio tuttavia di enfasi, di una eccessiva teatralità che esaspera i sentimenti e le situazioni. Lei è, o sente di essere, la divina Eleonora. Può piacere o meno, ma l’impegno è stato totalizzante. Il risultato non è un capolavoro, ma un film dignitoso, elegante, che getta uno sguardo su una donna di cui si conosce in verità troppo poco.

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