Se cercassimo un uomo-simbolo in grado di incarnare il detto “i record sono fatti per essere battuti”, probabilmente lo identificheremmo senza indugio in Aleksandr Sorokin. L’impresa titanica compiuta a Verona la scorsa settimana è infatti soltanto l’ultima delle sue ardite prove sportive: vediamo di capire perché.
Alle 10 del mattino di sabato 17 settembre, il quarantenne iniziava a correre vicino alla stazione Porta Nuova, su un circuito di circa un chilometro e mezzo, in parte su una pista di atletica e in parte su asfalto. Con lui iniziavano a farlo altri 250 atleti, iscritti in rappresentanza di quasi trenta paesi: l’occasione era data dalla 23ª edizione dei Campionati europei delle 24 ore. Solo alle 10 del mattino di domenica 18, dopo un’intera nottata ivi comprese alcune ore di pioggia, Sorokin muoveva gli ultimi passi della sua corsa: al segnale dei giudici di gara che annunciava lo scoccare delle 24 ore, si fermava e posizionava a terra il segnaposto con sopra il suo nome, per indicare fino a dove era arrivato nell’ultimo giro. I chilometri percorsi erano 319, più 614 metri: è il nuovo record del mondo sulle 24 ore, che sfiora il tetto delle 200 miglia (319,614 chilometri equivalgono infatti a 198,599 miglia) e migliora di oltre dieci chilometri il precedente record stabilito… dallo stesso Sorokin!
E pensare che aveva iniziato a correre a 32 anni per questioni di salute, con la priorità di perdere peso. Ebbene, le “corsette” lo hanno talmente tanto appassionato da fargli inanellare ben quattro record mondiali. Già lo scorso gennaio aveva deciso di superare non solo tutti gli altri ultramaratoneti, ma anche sé stesso, sulla distanza delle 100 miglia della Spartanion a Tel Aviv, in Israele, corrispondenti a circa a 160km: in 10 ore, 51 minuti e 39 secondi aveva perciò migliorato il suo precedente primato, di 11 ore 14 minuti e 56 secondi, di ben 23 minuti e 17 secondi.
Non contento aveva poi proseguito fino a siglare il record mondiale delle 12 ore con 110,24 miglia. Ovvero 177,41 chilometri. Significa che Sorokin aveva già corso ad una media di 4.04 minuti al chilometro per 12 ore consecutive, coprendo una distanza superiore a quattro maratone consecutive, Poi, lo scorso aprile, ha corso 100 km in 6:05:41 al Centurion Running Track a Bedford, nel Regno Unito, dopo essersi allenato nella Rift Valley del Kenya, correndo da 250 a 300 chilometri a settimana, ovvero circa 43 chilometri al giorno. E poco importa che questo record dei 100 km non sarà ufficiale per la World Athletics, in quanto non soddisfa alcuni criteri per l’ufficializzazione come la misurazione standard del percorso e la tipologia di terreno su cui ha corso: è riconosciuto dall’IAU, Associazione Internazionale degli Ultrarunners, perché dal 2015 non distingue più tra le diverse superfici e raccoglie record su tutte le distanze.
Semplicemente sbalorditivo. Soprattutto perché Sorokin non aveva mai corso o fatto questo tipo di sport a determinati livelli fino ad 8 anni fa. Sappiamo che da giovane era un velocista di canoa kayak e che gareggiava per la squadra nazionale e ai campionati mondiali giovanili ma, a seguito di un infortunio, aveva lasciato l’attività agonistica lasciandosi andare e arrivando a pesare più di 100 chili, con qualche vizio poco salutare. Tendeva a eccedere in alcol e fumo, così aveva iniziato a correre per dare alla propria vita una svolta prima di tutto salutare. Dopo una scommessa con amici poi, aveva così deciso di partecipare alla sua prima gara di 100 chilometri, in Lituania, al motto “il bello della corsa è che puoi fare più di quanto pensi di essere capace”. Da lì, non ha più smesso. Lavorava peraltro in un casinò ma, con l’arrivo del Covid, il suo lavoro si è interrotto: anche questo gli ha permesso di dedicarsi appieno all’allenamento. Per gli amanti dei dettagli sulla dieta, invece, nulla di più sorprendente: patatine, cioccolato, caramelle, biscotti e coca cola… ma non si separa mai da una tipologia di scarpe cui fu “iniziato” dal regalo di un amico: un paio di scarpe Nike Alphafly. Una parabola, quella di Sorokin, da stropicciarsi gli occhi: cosa saranno mai, in fondo, i record?
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