Silenzio sulle bombe vendute all’Arabia Saudita

Il Medio Oriente devastato dalle guerre  è meta di esportazioni belliche che partono dall’Italia. Rete disamo, Opal e Archivio disarmo, assieme e ad alttre associazioni, continuano a presentare  esposti alla magistratura per violazione della legge 185/90, ma non parte una campagna di contestazione diffusa. Tante domande senza risposta
Armi in medio oriente foto AP

«Inizia il carico. Ecco le prime bombe sulla pista. Gli operatori stanno cercando di coprire la visuale. Il carico inizierà non appena l'aeroporto sarà chiuso». È stato  Mauro Pili , deputato del gruppo misto della Camera e già presidente della Regione, a documentare a fine 2015 sul web, in tempo reale e con tanto di foto,  il transito di armamenti pesanti da porti e aeroporti della Sardegna verso l’ Arabia Saudita.

 

Immagini, documenti e testimonianze sono state raccolte e diffuse dal sito di giornalismo internazionale Reported.ly fin dal 2 maggio dello scorso anno   

 

Come denunciano Amnesty International, Rete disarmo e Opal, anche l’Italia contribuisce, così, ad alimentare il fuoco che divora il Medio Oriente. Sembra del tutto vanificato il divieto stabilito, dopo una grande mobilitazione civile, dalla legge 185 del 1990 di commerciare e comunque far transitare armi verso Paesi in guerra come l’Arabia Saudita al centro di diversi conflitti. Uno dei fronti incandescenti è quello aperto, dal marzo 2015, in Yemen dove i vertici di Riyad guidano una coalizione che ha operato numerosi bombardamenti aerei anche  su strutture sanitarie.

 

Si tratta di azioni di un conflitto armato dimenticato ma condannato senza mezzi termini dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon tanto che 24 organizzazioni non governative internazionali, comprese Amnesty International e Human Rights Watch , hanno fatto istanza al Consiglio per i diritti umani dell’Onu per istituire una commissione d’inchiesta in grado di  indagare, in modo indipendente e imparziale, sui “crimini di guerra” commessi da tutte le parti coinvolte nel conflitto. Commissione che difficilmente vedrà la luce dato che la coalizione a guida saudita vede schierati Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar ed Egitto con il supporto militare e di intelligence statunitense.

 

 

Come riportato sulla rivista Città Nuova, il governo italiano ha salutato come un successo straordinario la vendita di 28 caccia Eurofighter al Kuwait da parte di un consorzio capeggiato dall’italiana Finmeccanica. 

 

 

Catastrofe umanitaria

 

 

La guerra in corso, che rientra nello scontro generale il mondo sunnita e l’Iran, ha la sua origine, secondo Maurizio Simoncelli dell’Istituto Archivio disarmo, nel controllo strategico del  chekpoint di Bab el Mandeb sul Golfo Persico dove transitano «circa 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno in direzione dei porti europei e  statunitensi». 

 

Davanti alle dichiarazioni del governo italiano, che ha minimizzato la portata dell’accaduto, senza poterlo tuttavia negare, e alla scarsa attenzione della maggioranza dei parlamentari, alcuni rappresentanti delle maggiori associazioni per il controllo degli armamenti (tra le quali, rete disarmo, Archivio disarmo e Opal)  hanno presentato, il 27 gennaio 2016, alla Procura generale della Repubblica presso il tribunale di  Roma una denuncia nei confronti di noti da identificare per inosservanza della 185/1990 in materia di esportazione di materiali di armamenti verso l’Arabia”.

 

 

Non si hanno ancora notizie sulla decisione del  procuratore generale Giuseppe Pignatone di archiviare o avviare le indagini. Nel mentre, altri esposti simili stanno arrivando presso i tribunali di altre città italiane. A La Spezia, la procura ha protocollato il 15 febbraio 2016, la denuncia della violazione della legge 185/90 da parte di 45 attivisti.  Il testo all’esame dei magistrati riporta il giudizio dell’Onu sul “disastro umanitario” che sta consumandosi nello Yemen («seimila morti di cui circa la metà tra la popolazione civile, 700 bambini, oltre 20mila feriti, milioni di sfollati, più metà della popolazione ridotta alla fame»).

 

Dalla città ligure, secondo Giancarlo Saccani del Gruppo di azione nonviolenta,  «tra aprile e settembre 2015, sono stati inviati più di 21 milioni di euro di “armamenti e munizionamento” agli Emirati Arabi Uniti, Paese che fa parte della coalizione sunnita attiva nel conflitto in Yemen».

 

L’atto estremo di ricorrere alla magistratura segna evidentemente una crisi di rappresentanza politica. Pochi i parlamentari attivati convintamente. Ancor di meno il numero di esponenti della società civile capaci di andare oltre l’indignazione.

 

Anche le notizie sui bombardamenti di strutture ospedaliere di Organizzazioni umanitarie in Siria, passano subito in seconda fila anche se non si può dire che i mezzi di informazione siano reticenti dei dettagli più strazianti.  

 

Il tabù della guerra 

 

In questo clima irreale non meraviglia affatto l’assenza di un vero dibattito sui preparativi di un imminente intervento armato in Libia da parte di una coalizione militare sotto guida italiana. Come scrive l’analista Giandrea Gaiani su Il Sole 24 ore del 26 gennaio 2016 , oltre alle forze della Marina poste a difesa delle piattaforme dell’Eni, «le forze che Roma potrebbe mobilitare rapidamente per l’intervento in Libia sono costituite da forze speciali, paracadutisti della brigata Folgore (da tempo mantenuta in riserva di pronto impiego per un’emergenza in Libia) e fucilieri di Marina della brigata San Marco con una dozzina tra cacciabombardieri AMX, droni e aerei da trasporto affiancati da altrettanti elicotteri».

 

 

Secondo Alex Zanotelli, «in questo momento così grave è triste vedere il movimento per la pace frantumato in mille rivoli». Il missionario trentino,come è noto, fu rimosso nel lontano 1987 dalla direzione della rivista  Nigrizia dopo aver  denunciato il coinvolgimento italiano nel traffico di armi verso Paesi in via di sviluppo.

 

Dopo oltre 30 anni il religioso comboniano, che ha stabilito la sua sede nel rione Sanità di Napoli, ha provato, senza successo, a lanciare a fine gennaio 2016 una chiamata a raccolta a Roma, tra «tutte le realtà di base per costruire un coordinamento o un Forum nazionale contro le guerre».

 

Come in altre epoche della storia, sembra che l’opinione pubblica sia come rassegnata e apparentemente indifferente ad un destino già deciso dall’alto.

 

Le prime pagine dei quotidiani di martedì 23 febbraio hanno riportato le rivelazioni del Wall Street Journal circa il via libera del governo italiano alla partenza di droni armati dalla base statunitense di Sigonella. La notizia è stata confermata dal ministro della difesa italiano che ha tenuto a precisare circa l’uso dei droni armati che avverrà solo a scopo difensivo e con l’autorizzazione caso per caso da parte dell’Italia.

 

Sembra più realistico Claudio Magris che, sul Corriere della Sera del 16 febbraio 2016, ha invitato a superare l’ipocrisia di fare la “guerra” senza citare questo terribile nome quando tutti sanno che «un intervento armato è efficace quando se ne viene a conoscenza a cose già avvenute». 

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