Nella prossima primavera, non si conoscono ancora le date, i cittadini saranno chiamati ad esprimersi con referendum sulla riforma costituzionale della giustizia approvata da Camera e Senato in due letture per ogni camera, in totale quattro.
Il referendum si rende necessario perché non è stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi del parlamento, pertanto vengono chiamati in causa i cittadini: il referendum sarà senza quorum quindi la maggioranza dei partecipanti al voto determinerà il risultato.
La riforma prevede come argomento principale la cosiddetta “separazione delle carriere” tra magistratura inquirente e giudicante, semplificando tra la pubblica accusa e i giudici. Di conseguenza anche organi disciplinari diversi, sdoppiando il Consiglio Superiore della Magistratura che è l’organo di autogoverno dei giudici.
Altro punto importante è il ricorso al sorteggio e non più alla elezione, riservata ai magistrati, per gli appartenenti ai due Consigli Superiori della Magistratura : da un elenco predisposto dal Parlamento in seduta comune per i membri “laici”, cioè professori universitari in materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di esercizio e tra tutti i magistrati aventi determinati requisiti per i membri “togati”.
La questione, oltre agli aspetti tecnici, ha un evidente contenuto politico, come tutte le leggi promulgate dal parlamento, a maggior ragione quando viene richiesto anche il parere dei cittadini che non sono costituzionalisti, e mi limiterò a parlare di questo contenuto, prescindendo dai tecnicismi.
Intanto cominciamo col dire che la giustizia è un pilastro del nostro ordinamento democratico, una delle conquiste fondamentali della società occidentale è lo stato di diritto, e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: prima comandavano i nobili, i vescovi conti, il prepotente di turno e la legge erano loro, e anche oggi in molti Paesi lo stato di diritto non è garantito.
Quindi teniamocelo stretto e ben caro: lo stato di diritto si basa sulla separazione dei poteri, sistematizzata dal liberale Montesquieu per garantire la libertà individuale, proteggere il cittadino dalla tirannide e dagli abusi: potere esecutivo al governo, potere legislativo al Parlamento e potere giudiziario alla magistratura.
Dei tre, osserviamo che la magistratura è l’unico “potere” non eletto dai cittadini. Nell’antica Grecia ad Atene si sorteggiavano 6000 cittadini maschi con più di trent’anni per svolgere la funzione, che non era a tempo pieno ma al bisogno. Poi nel tempo si è passati a figure professionali adeguatamente formate ed arruolate per concorso pubblico, anche per garantirne l’indipendenza rispetto agli “umori” del popolo o del governo di turno.
Questa indipendenza “totale” della magistratura va però accompagnata ad una serie di pesi e contrappesi che compongono le nostre garanzie democratiche, altrimenti si rischia di creare una “casta” di cittadini al di sopra della legge stessa e che dispongono della vita degli altri.
Per questo ci sono garanzie come l’immunità parlamentare, recentemente molto ridotta in Italia sull’onda dell’inchiesta Mani Pulite, ma presente in Europa e utilizzata ad esempio nel noto caso di Ilaria Salis, deputata di Avs che ha evitato per la durata del mandato di essere processata in Ungheria. E gli organi di autogoverno sopra citati.
La separazione delle carriere è una di queste garanzie per il cittadino, che va a stabilire percorsi e carriere diverse tra chi giudica e chi accusa. Ad oggi la carriera unificata è un unicum italiano, si può dire, e la separazione delle carriere è una realtà, pur con accenti diversi, in tutti i principali Paesi occidentali: Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti.
In alcuni di questi Paesi, ad esempio la Germania, la pubblica accusa è più soggetta all’azione del governo e del Ministero della Giustizia ma di questo non c’è traccia nella riforma italiana, pertanto la indipendenza dell’accusa e del giudice non viene minimamente intaccata.
Anche l’introduzione del sorteggio per il CSM, che ricorda gli ateniesi e in parte l’antica Roma, viene proposta per ridurre il potere delle cosiddette “correnti” interne alla magistratura. Se vogliamo essere intellettualmente onesti va detto che in Italia una larga parte del pubblico impiego, in particolare i magistrati ma anche gli insegnanti, è orientata verso gli ideali della sinistra: difesa dei più deboli, lotta alle disuguaglianze, una certa diffidenza verso il profitto e i grandi capitali, una “giustizia distributiva” imposta per legge che viene prima delle libertà individuali, le correnti esprimono legittimamente questa aspirazione.
È evidente che questo ha un peso anche nell’intraprendere iniziative giudiziarie, lo dico con le parole di Luca Palamara, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati: “le leggi, com’è noto, non si applicano, si interpretano sì in base alla preparazione, ma anche alla sensibilità culturale, ideologica, politica dei magistrati, e a volte purtroppo anche alla loro appartenenza”.(1)
Faccio due esempi sempre appellandomi alla onestà intellettuale di chi legge. Praticamente tutto il governo Meloni è stato indagato a vario titolo nell’esercizio del proprio mandato, e in precedenza Silvio Berlusconi ha subito nella sua carriera politica decine di processi, di cui solo uno finito con una condanna, per la quale uno degli stessi giudici del collegio si scusò in seguito parlando di “plotone di esecuzione”. Faccio molta fatica a vedere una pura casualità in questi accadimenti.
Ecco, in sintesi questa riforma nel breve non cambierà molto, non è la panacea di tutti i mali, ma certamente contribuisce ad un sistema giudiziario più autorevole, più indipendente anche dalle proprie pulsioni ideologiche e corporative. Si tratta, ritengo, di misure di civiltà non solo utili ma necessarie per tutti i cittadini.
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A.Sallusti, L.Palamara “Il Sistema” ed. Rizzoli