Se anche il museo è un bene comune

Di fronte alle difficoltà in cui versano i beni culturali, la gestione “collettiva” può essere una risposta: i casi di Venzone e Cividale, in Friuli
Venzone

Del concetto di albergo diffuso già si parla da tempo: piuttosto che grandi strutture alberghiere, magari anonime e certamente non disponibili nei piccoli centri, meglio bed&breakfast e affittacamere, che oltre a prezzi più amichevoli offrono il contatto diretto con la gente del luogo.

 

Meno usuale è, invece, quello che potrebbe essere chiamato “museo diffuso”: non solo cittadine e borghi che, per il loro valore storico e artistico, sono già di per sé dei musei a cielo aperto, ma anche una modalità diversa di gestione dei siti archeologici e museali. È infatti ben conosciuta la sempre più drammatica mancanza di risorse per i beni culturali: se persino il Museo nazionale romano della capitale – come è capitato di constatare a chi scrive – è costretto ad affidare le visite guidate non a una guida qualificata, ma a un custode, difficile che le piccole realtà possano permettersi di tenere aperto.

 

Una soluzione interessante arriva dal Friuli, costellato di borghi che, pur pesantemente danneggiati dal terremoto del 1976, sono stati rimessi a nuovo come veri e propri gioiellini. E pazienza se a volte ne esce un effetto “bomboniera”, per la perfezione quasi artificiosa della ricostruzione: la cura con cui vengono tenuti è sufficiente a perdonarla. L'idea di base è semplice: se non possiamo pagare un custode permanente per un museo, chiesa, cappella, o che altro, allora in custodia diamo le chiavi.

A tenerle saranno le attività commerciali del paese – bar, negozi, ristoranti – oppure associazioni, dove il turista potrà andarle a chiedere e lasciare un contributo per la visita. Va da sé che, già che sono entrato al bar, ne approfitto per bere un caffè; o per prendere un souvenir per la mamma, se invece ho preferito il negozio di prodotti tipici. Un ulteriore contributo all'economia locale, oltre che occasione di contatto tra i turisti e la popolazione.

 

È il caso di Venzone, borgo medievale pressoché raso al suolo dal sisma, e ricostruito pietra su pietra – vabbè, qualcuna è avanzata ed è rimasta lì, lungo la cinta muraria, un po' come le viti avanzate dopo aver montato l'armadio Ikea… – con encomiabile precisione. Una linea rossa corre lungo le mura della cittadina e quelle del duomo, a indicare sino a che livello il terremoto le aveva fatte crollare; e una serie di pannelli accompagnano il visitatore lungo un percorso attraverso strade ed edifici del paese. Sino ad arrivare alla cappella di San Michele, dove sono custodite cinque delle quasi quaranta mummie rinvenute a Venzone.

 

Il fenomeno della mummificazione è stato possibile grazie a un fungo, la Hipha bombicina pers, che vegeta nei sotterranei del duomo: ed è lì infatti che è stata rinvenuta la prima, detta “mummia del gobbo”, nel 1647. Sin dalla fine dell’Ottocento sono state esposte al pubblico, e dal settembre del 2000 vengono custodite nella cappella restaurata. Per accedervi bisogna inserire un gettone in un tornello: gettone che è in vendita, appunto, nei bar e negozi del centro oltre che all'ufficio turistico della Pro Loco, ente gestore del sito (mentre le mummie sono di proprietà della Fabbriceria del duomo, ente medievale tuttora funzionante).

 

Non sono previste provvigioni sulla vendita dei gettoni: gli esercenti hanno scelto liberamente di accogliere la proposta, che pare averli lasciati soddisfatti: «Specie nel caso di gruppi organizzati e scolaresche – spiega il signor Aldo, della Pro Loco – la risposta è stata buona, anche perché per le comitive pratichiamo un prezzo agevolato e offriamo la visita guidata gratuita: i gettoni annualmente venduti sono circa 25 mila, ai quali vanno aggiunti un migliaio di studiosi e delegazioni». Non male, per un comune di poco più di 2 mila abitanti.

 

L'idea sembra funzionare, tanto che la stanno vagliando anche altrove. A Cividale, vicino al confine sloveno, potrebbe infatti essere una soluzione per l'Ipogeo celtico: una serie di ambienti sotterranei, scavati nella roccia in età preromana, e dall'uso mai chiarito. E da chiarire, a dire il vero, è anche la modalità di gestione: vi si accede infatti da una porta che è fisicamente parte dell'edificio che vi sta sopra, e i cui proprietari hanno affidato le chiavi al bar accanto secondo il principio di cui sopra; ma l'Ipogeo in sé non è tecnicamente proprietà privata, per cui l'amministrazione comunale ha dato un'altra copia delle chiavi alla biglietteria del Tempietto longobardo – altra perla architettonica della cittadina.

 

Dal Comune assicurano che si sta lavorando per venire a capo della questione, approfittando anche del fatto che la convenzione con i proprietari è in scadenza; e una delle modalità possibili sarebbe appunto quella del gettone. Che peraltro non è l'unico progetto in campo: «L'amministrazione ha stipulato una convenzione con alberghi e ristoranti del paese – spiegano – per cui i gruppi organizzati che vi alloggiano o vanno a mangiare usufruiscono di una visita guidata, pagata dal comune, e tenuta da una guida professionista».

Lo stimolo all'economia locale sembra essere sostanzioso: «L'anno scorso abbiamo avuto 2700 visitatori, che a fronte di una spesa di 10 mila euro per le casse comunali, hanno generato un indotto di circa 60 mila solo nei locali convenzionati». Si tratta quindi soltanto di una parte di quello che è l’indotto totale, sul quale sarebbe difficile fare stime precise.

 

Una possibile risposta alle difficoltà in cui versa il nostro patrimonio culturale arriva quindi dai borghi, che proprio in virtù delle loro dimensioni limitate possono più facilmente avviare forme di gestione come questa? Forse; ma l’italica inventiva non è certo appannaggio solo delle piccole realtà.

 

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