Scontro o incontro di civiltà e religioni?

Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista a mons. Armando Bortolaso e mons. Simon Atallah: bisogna finirla con una strategia del frazionamento geopolitico del Medio Oriente e con una destabilizzazione sistematica di questi Paesi. Solo così si assicurerà loro un futuro di pace e di stabilità e si risolverà il problema dell’esodo dei cristiani
guerra in Siria bambino

Scontro o incontro di civiltà e religioni?
Mons. Armando Bortolaso (22 anni in Siria e per 10 vicario apostolico dei latini per la Siria, con sede ad Aleppo): «C’è chi vorrebbe farci credere che la prima tesi è ineluttabile, mentre tutta la realtà storica dimostra che è vera la seconda. Nonostante il suo passato il Libano, per esempio, è una dimostrazione eclatante che la convivenza pacifica tra religioni, culture e componenti etniche diverse non solo è possibile, ma anche desiderata da tutti». Un patto che cristiani e musulmani (con qualche rarissima eccezione) hanno rinnovato molte volte. «E il ruolo del Paese dei Cedri continua oggi ad essere strategico nello scacchiere mediorientale. Nel settembre 2012 Benedetto XVI è venuto in Libano per incoraggiare tutti, cristiani e musulmani, e per dire al Paese, come già aveva fatto Giovanni Paolo II, "voi non siete solo una nazione", ma "una missione, un modello di convivenza pacifica, di coesione, di fraternità". Ed in particolare il Papa ha voluto sostenere i cristiani, dare loro speranza nel futuro, spronarli a rimanere nella loro terra quale deterrente al pericolo che sconvolge tutta la regione».

Come immaginare il futuro? Quali le possibili soluzioni?
Bortolaso e il vescovo maronita Simon Atallah (della diocesi di Baalbek-Deir El-Ahmar, a nord del Libano, al confine con la Siria) concordano: «Il magma sotterraneo delle potenze occidentali si scontra oggi in Siria con il magma sotterraneo di quelle orientali. Il vulcano sirianopotrebbe scoppiare improvvisamente coinvolgendo i Paesi vicini con conseguenze imprevedibili. Occorre bloccare questo meccanismo perverso che può compromettere la pace mondiale. Bisogna per questo risolvere in modo equo e giusto il problema palestinese nel quadro del diritto internazionale delle Nazioni Unite: questo è il nodo centrale della pace in Medio Oriente. Occorre lavorare a ciò strenuamente. Solo così il mare in tempesta di oggi ritroverebbe pian piano la sua calma».

Ed ancora. «La politica dell’occidente deve fare un passo indietro, rinunciando ad esportare una democrazia alla quale i paesi arabi non sono preparati. Bisogna finirla una buona volta con una strategia del frazionamento geopolitico del Medio Oriente e con una destabilizzazione sistematica di questi Paesi. Solo così si assicurerebbe loro un futuro di pace e di stabilità. Solo così anche il problema dell’esodo dei cristiani dal Medio Oriente sarebbe risolto. Vedere partire i cristiani dalle loro terre d’origine provoca smarrimento nella popolazione musulmana più moderata ed evoluta è una loro espressione ricorrente: “Non ve ne andate! Rimanete! Abbiamo vissuto insieme per secoli!”. Bisogna infine che si accetti che i popoli arabi si avviino alla ricerca del proprio sistema di governo, e che si dia loro tempo per realizzare quella democrazia e trovare la via a quella laicità che sono auspicate da tutti». Ma ci vuole ancora tempo, molto tempo. Di tempo poi ce n’è voluto molto anche in Europa per raggiungere questi traguardi.

Un’ultima annotazione?
Mons. Bortolaso: «Ci siamo trovati alcune settimane fa al Cairo per un incontro ecumenico una quarantina di vescovi di diverse chiese, amici del Movimento dei Focolari. Siamo stati accolti splendidamente dalla Chiesa copta (dieci milioni di cristiani). Una chiesa meravigliosa, una “chiesa sorella”, che ha manifestato aperture inedite verso l’unità. Sotto la spinta del nuovo patriarca Teodoro II si sta pensando di creare un Consiglio che raccolga tutte le chiese cristiane presenti in Egitto, laboratorio che si potrebbe aprire anche in altri Paesi della regione mediorientale. Ci è sembrato che in queste regioni, che tanto stanno soffrendo, lo Spirito Santo scenda con particolare effusione sulle Chiese cristiane dando loro una nuovissima spinta verso la piena unità».  

Mons. Atallah: «Durante la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità nella mia diocesi, insieme a me sedeva il vescovo ortodosso George di Antiochia. Ha terminato la sua predica dicendo: "Quando io, ortodosso, arriverò a vedere nella faccia del maronita la faccia di Gesù Cristo, allora ci sarà l’unità". È così. Si tratta di un lavoro mistico, perché profondo e sostanziale, di grazia. E non è facile vedere Gesù nel volto del prossimo. Il motore è l’amore.

Anche noi cristiani vogliamo contribuire a riportare la pace in questi nostri Paesi. Lo potremo fare accelerando i tempi verso l’unita. Per questo lavoriamo a formare comunità di chiese diverse dove sia viva la legge dell’amore vicendevole, dove si veda e si ami Gesù nel fratello. Questo il nostro impegno.

Ai nostri fratelli d’Occidente invece domandiamo de levare le mani dal Medio Oriente, perché sulle sue popolazioni ci sono molte mani. Non sono mani benedicenti ma di oppressione, che distruggono i Paesi e le relazioni amichevoli che ci sono sempre state tra noi e i nostri fratelli di tutte le religioni. Abbiamo bisogno invece che essi aiutino, sostengano, incoraggino quanti in Medio Oriente credono e lavorano per la coesistenza pacifica fra popoli, etnie e religioni. Questa è l’unica via alla pace».

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