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Scarpe solidali

di Annamaria Gatti

- Fonte: Città Nuova

La libertà e le relazioni conseguenti alla solidarietà.

Foto Pexels

Caterina ha stabilito un budget per l’acquisto di scarpe per i giovani immigrati africani appena affidati ad una associazione di soccorso. La richiesta di scarpe è motivata dal fatto che le infradito non sono idonee in alcuni contesti. I giovani, maggiorenni e in attesa di documenti validi, hanno cominciato ad organizzarsi bene, dimostrando buona volontà, sotto la guida dei volontari.

Caterina non sta passando un buon momento a causa della salute, ma nella richiesta vede il bisogno dei suoi figli, giovani come loro, e decide col marito di rispondere a quella “chiamata”. Il budget non è molto alto, quindi dopo qualche ricerca e macinando qualche chilometro, si affida a un supermercato di calzature.

«Desidera?» chiede la commessa. «Scarpe sportive non troppo costose». «Numero?». «41, 42, 43, 44, 45…». Caterina sorride davanti allo sguardo attonito della commessa, che chiede: «Ma quanti figli ha lei?». «24, 4 sono miei, gli altri no. Ora le spiego…». Così, dopo aver illustrato la situazione e condiviso con la commessa un video in cui i giovani africani ringraziano davanti a un certo numero di scarpe da uomo – che però sarebbero state utili in inverno –, la commessa capisce e la fa accomodare dicendo: «Vado e torno con quello che potrebbe servire». Caterina, vista la propria stanchezza, trova la situazione provvidenziale.

Infatti, dopo un certo tempo, la commessa ritorna con numerose scatole di scarpe. Il costo contenuto le permette di acquistarne un certo numero, non tutte, purtroppo, ma si sente dire: «Non si preoccupi, andiamo alla cassa». Caterina la segue perplessa. «Queste scarpe non costose, ma buone, sono in vendita con il 20% di sconto. Le pago con il mio tesserino che contempla uno sconto maggiore come dipendente. Così riesce a portare a casa 6 paia di scarpe. Il settimo paio glielo regalo io. Le ho preso un 43 perché è il numero più usato e sono certa che andrà bene».

Caterina è sicura che qualcosa di buono stia avvenendo in quel supermercato: la persona è messa al centro della vendita. È consolata anche nel vedere quanto quel gesto renda felice la commessa. Ma uno scoglio va ancora affrontato: la cassiera ha difficoltà a far passare l’operazione anomala. L’addetta alle vendite allora, pazientemente, spiega la situazione alla collega in cassa e tutto è sistemato, con la buona volontà di tre persone, che guadagnano in autostima e in libertà. La libertà della solidarietà. C’è del buono ovunque, pensa Caterina.

«Pensa se, per pudore umano, avessi acquistato senza raccontare la necessità e mi fossi nascosta dietro un acquisto famigliare, per esempio. A volte bisogna davvero avere il coraggio di essere trasparenti, per permettere anche ad altri di tirar fuori il meglio di sé», confida Caterina. E ha ragione.

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