Anno 1216 oppure 1222. Oppure tutte e due gli anni. Francesco, quello d’Assisi, si recò a Monte Sant’Angelo, sul Gargano. Lì c’è il più antico santuario dell’occidente dedicato all’Arcangelo Michele. Per il quale Francesco aveva un’autentica devozione. Ci andò, percorse la scalinata in discesa che conduce alla grotta. Ma non volle entrare. Si fermò sulla soglia. Riteneva che quel luogo fosse così sacro che lui non era degno di mettervi piede.
Francesco pregò da lì Michele, quello che “sta sempre alla presenza di Dio”, come disse lo stesso arcangelo al vescovo Maiorano, secondo quanto sta scritto nell’opera agiografica, Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano, datata tra il V e l’VIII secolo. San Francesco non entrò, ma lasciò incisa sulla roccia che stava sulla soglia, la sua firma. Un graffito. Non del suo nome, ma una tau. Questo graffito fu rubato al santuario durante un saccheggio. Ora è sostituito con uno nuovo. Ma il significato rimane.
San Francesco, di fronte a quella grotta, aveva tremato per la presenza del divino. Lui che in qualche modo c’era ben più avvezzo di noi. Che senza alcun turbamento percorriamo la grotta e scattiamo selfie. Un altro fatto segna il legame tra Francesco e Michele.
Ogni anno Francesco faceva la quaresima di san Michele, quaranta giorni di digiuno e penitenza, dalla festa dell’Assunta il 15 agosto alla festa di San Michele il 29 settembre. Nel 1224, due anni prima di morire, andò per la quaresima di san Michele al monte della Verna. Con lui c’erano frate Masseo, frate Angelo e frate Leone. Scelto un luogo isolato per il suo ritiro, ordinò ai compagni di non disturbarlo per alcun motivo. Fu lì che il 17 settembre ricevette quel doloroso dono divino che sono le stimmate. Un legame non da poco quello tra il poverello d’Assisi e Michele. Di cui oggi, 29 settembre, si celebra la festa.
Ma perché questo giorno? Ha a che fare con le apparizioni dell’Arcangelo sul Gargano. La prima si dice avvenne nel 490. C’era un toro ribelle che s’era allontanato dall’altro bestiame e s’era piantato di fronte alla grotta – quella dove andrà poi san Francesco. Il suo padrone infuriato perse le staffe e gli lanciò una freccia per colpirlo. Ma la freccia, come un boomerang, fece ritorno e colpì lui. Che sorpreso da quel fatto magico andò a raccontarlo al vescovo Maiorano. Il quale non sapeva che dire, ma per non sbagliare ordinò tre giorni di preghiera e digiuno. Il terzo giorno gli apparve in sogno san Michele, dicendogli che lui s’era scelto quella grotta, e che voleva che gli fosse consacrata. Il vescovo rimase di sasso. Quello era un luogo di culto pagano.
Per evitare problemi, glissò sulle richieste dell’Arcangelo. Che un paio d’anni dopo tornò alla carica. Aiutò la gente del luogo a vincere una impossibile battaglia, ma ora voleva che quel luogo venisse dedicato a lui. Il vescovo tergiversò ancora. Finché avuto il benestare dal papa il vescovo si decise a dedicare quella grotta all’arcangelo e consacrarla come basilica. Ma Michele aveva perso le staffe. È un guerriero lui, non ama queste lungaggini. Disse al vescovo: «Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io che l’ho fondata, io stesso l’ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo, posto sotto la mia protezione». Se l’era consacrata da solo Michele. La chiesa riconobbe il fatto.
Quella infatti è l’unica basilica al mondo non consacrata da mano umana, ma da san Michele stesso. Per questo è chiamata “Celeste basilica”. Per questo Francesco si arrestò sulla sua soglia.
Oggi è il 29 settembre. Il giorno in cui si festeggia il nome di Michele. Che non è un nome, ma un grido. Mi-ka-El. Chi come Dio? Per noi, che non ci turbiamo più a mescolare il nome di Dio con mille altre cose, questo urlo di battaglia, Mi-ka-El, appare datato, obsoleto, molto poco politically correct, fuori luogo nel contesto attuale. Ma è proprio così?
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