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Salman Rushdie nemico dell’Islam?

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie è stato accolatellato venerdì 12 agosto da un giovane sciita radicalizzato. Non è morto ma per poco. Pur dichiarandosi non credente, Rushdie è di famiglia islamica. Ma lo scrittore è veramente un nemico dell’Islam?

Salman Rushdie. Foto; Ap

La cronaca internazionale di questi giorni si è accesa intorno ad un grave attentato, per fortuna non mortale ma ci è mancato poco, sferrato a Chautauqua sulle sponde del lago Erie, 650 Km a nordovest di New York, venerdì 12 agosto. Il famoso scrittore Salman Rushdie, inglese di origini indiane, autore di una ventina di libri tra romanzi e saggi, è stato accoltellato in pubblico da un giovane statunitense di famiglia libanese, sciita radicalizzato, poco prima dell’inizio di un dibattito letterario. L’attentatore, subito identificato e arrestato, si è dichiarato innocente dopo aver inferto allo scrittore 15 coltellate. Le immagini dell’attacco hanno subito fatto il giro del mondo.

I soccorsi dopo l’aggressione. Foto: Ap

Salman Rushdie, 75 enne autore di grande capacità letteraria, tradotto in 30 lingue, è particolarmente noto alle cronache per la fatwa di morte emessa contro di lui dall’ayatollah Khomeini (pochi mesi prima della sua scomparsa) il 14 febbraio 1989 a causa del romanzo pubblicato da Rushdie per la prima volta nel 1988: The Satanic Verses, I versi satanici. Una vicenda, quindi, iniziata oltre 30 anni fa, che ha condizionato da quel momento l’intera vita dello scrittore, anche perchè la fatwa dall’ayatollah Khomeini (che con tutta probabilità non aveva letto il romanzo di Rushdie) fu, fin da allora, accompagnata da una taglia di oltre 20 mila dollari (poi arrivata a 4 milioni) per chi lo avesse ucciso. Fatwa che non verrà mai abolita, sebbene sia ritenuta illegittima da molti esperti di diritto islamico. E l’ayatollah Khomeini questa opinione giuridica non la ignorava, e probabilmente emise la condanna a morte proprio per affermare l’universalità del suo islamismo radicale.

La colpa di Rushdie sarebbe stata quella di aver insinuato nel suo romanzo l’idea che al tempo del profeta dell’Islam erano ancora in vigore, e molto seguiti, i culti di alcune divinità femminili, le cosiddette figlie di Allah. Anzi, secondo una certa tradizione extra-Coranica (pare da attribuirsi allo storico persiano al Tabari, vissuto fra IX e X secolo d.C., circa 2 secoli dopo Muhammad) il Profeta avrebbe in un primo momento acconsentito al culto delle dee tra i fedeli musulmani. Salvo poi pentirsi di questa concessione il giorno dopo, e nel rigettarla avrebbe dichiarato che gli era stata suggerita da satana senza che lui se ne fosse al momento reso conto. Questa tradizione è doppiamente pericolosa, anzi blasfema per gli islamisti radicali, perchè mostrebbe la presenza di uno spiraglio al femminile nella tradizione coranica, oltre a far intendere che il profeta Muhammad si era in quel primo momento sbagliato seguendo una suggestione non divina.

Hadi Matar, l’accoltellatore di Salman Rushdie. Foto; Ap

In realtà, ne “I versi satanici” di Rushdie questa visione, pur presente e provocatoriamente voluta, non è certo centrale o predominante. E si tratta pur sempre di una suggestione letteraria in un romanzo ambientato in India ai nostri giorni e non in Arabia al tempo del Profeta.

Deduzioni e ipotesi sui versi satanici si fondano sui due brevissimi e misteriosi versetti effettivamente presenti nel Libro Sacro islamico, nella sura An-Naim (la stella): 53, 19-20. La traduzione del testo arabo sarebbe più o meno questa: “Hai mai pensato ad al-Lat e al-Uzza, e alla terza divinità, al-Manat?”.

Tutto qui? Questi sono i due versi satanici (e con questo nome riconosciuti dalla tradizione islamica) presenti nel Corano. Sì, tutto qui. Va detto che il contesto è particolare: la sura 53 è una delle più amate dai mistici islamici. Secondo l’opinione della maggioranza degli studiosi, la sura sarebbe la narrazione mistica (e spesso misteriosa) del viaggio notturno del Profeta in Paradiso, che culmina con l’arrivo di Muhammad vicino al trono di Allah.

Ma chi erano al-Lat, al-Uzza e al-Manat? Erano tre dee pre-islamiche molto care ai meccani, i concittadini del Profeta, considerate figlie di Allah, il dio venerato a Mecca. Al-Lat (cioè “la dea”) è in arabo il femminile di al-Lah. Storicamente le tre dee erano venerate, anche al tempo di Muhammad (morto all’inizio del VII secolo d.C.), come divinità dalle diverse tribù meccane. Il santuario di al-Lat si trovava a Taif ed era il tempio tribale dei Bani Thaqif. Al-Uzza significa colei che gode venerazione e rispetto ed era la dea dei Quraish (la tribù di Muhammad) e il suo santuario si trovava a Hurad, nella valle di Nakhlah, tra Mecca e Taif. Il santuario di al-Manat era situato a Qudaid, sul Mar Rosso, tra Mecca e Medina, ed i devoti di al-Manat erano in particolare le tribù di Khuzaah, Aus e Khazraj.

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