Sembra scritta ieri, la Zelmira ed invece è del 1822. Si ascolta poco, è vero, ed al Rof è solo la terza volta. Peccato, perché la musica è uno splendore, ben oltre la trama di amore perseguitato e di conflitti di potere nell’isola di Lesbo ai tempi del principe troiano Ilo. I due atti scritti da Andrea Leone Tottola e musicati da Gioachino contano momenti di invidiabile bellezza. Uno per tutti, il duetto Zelmira-Emma “Ah chi pietà non sente” con l’arpa e l’oboe di una melodiosità che anticipa il Bellini del Pirata, con cori, concertati di furore o di ansia, fino al rondò finale di estasi beatificante dopo tanti dolori. Quando fu rappresentata a Vienna, l’opera ottenne un successo sbalorditivo che indignò Beethoven, un uomo lontanissimo da Rossini.
A Pesaro la direzione di Giacomo Sagripanti, precisa, ordinata, umile nei confronti della musica è stata bella e forse faticosa per lui. Infatti, l’enorme palcoscenico squadrato e semovente al centro dell’Auditorium Scavolini – la buca orchestrale in mezzo – su cui salivano e scendevano i cantanti e i figuranti a portare “cose le più varie”, rendeva arduo seguire gli interpreti, costretti a cantare anche capovolti come è toccato a Marko Mimica, un Polidoro di gran voce (da migliorare in finezza). Ma il regista Calixto Beito, molto creativo, prevedeva un alternarsi di gesti “simbolici” non sempre comprensibili e un andirivieni di gente ad uno spettacolo a 360 gradi, con i richiami erotici d’uso e politici. Gran spettacolo onnicomprensivo.
Il cast era buono, in particolare l’Ilio del tenore americano Lawrence Brownlee, 54 anni, freschissimo nelle impennate vocali rossiniane, la Zelmira anche possente (voce più che altro verdiana) di Anastasia Bartoli, il giovane tenore Paolo Nevi, voce da seguire. L’Orchestra del Comunale di Bologna è perfetta come colore e suono rossiniano, buonissimo il coro ascolano del Teatro Ventidio Basso. Ed è la musica a restare impressa, alla fine, tutta da scoprire.

L’italiana in Algeri (Ph Amati Bacciardi)
A proposito di creatività non è stata da meno la regia di Rosetta Cucchi nell’Italiana in Algeri, dramma giocoso che di per sé si presta come opera di “turcheria” a travestimento, inganni, seduzioni, ambiguità e perché no? a un simil-patriottismo, cioè ad un pizzico di politica. Tant’è vero che la scena prevedeva un gruppo di poliziotti intenti ad arrestare – un messaggio all’attualità? ‒ le drag queen che facevano compagnia all’intrepida Isabella, abiti superbarocchi e sgargianti, voce impetuosa, cioè Daniela Barcellona. Attrice collaudata, cantante che tiene la scena con piglio, nonostante qualche usura vocale. Dire che lo spettacolo è stato lussureggiante, dinamico, sensuale è dire poco. Potenza del neo-barocco con il povero Mustafà che cambia personalità: insomma, il visivo televisivo ormai è di casa. La musica è travolgente, si sa, e l’orchestra bolognese leggerissima ritmica colorata dà il massimo, diretta dal tenore russo Dmitry Korchak. A far compagnia alla Barcellona, il Taddeo stralunato di Misha Kiria e il Lindoro di Josh Lovell, tenorino bravo in carriera. Musica piacevolissima, spettacolo straripante. Creatività vivacissima che potrebbe ”coprire” la musica. La star vera però è Rossini.

“La cambiale di matrimonio” (Ph Amati Bacciardi)
Che dire poi dell’operina in un atto La cambiale di matrimonio? Qui la regia simpaticamente fresca di Laurence Dale sulle scene e costumi di Gary McCann offriva la bella facciata di una dimora londinese che si apriva all’interno entro il quale si svolgeva l’azione. Bell’idea anche se non nuovissima, che ha permesso ai cantanti-attori di regalare uno spettacolo delizioso, divertente con personaggi simpaticissimi come Pietro Spagnoli (Tobia Mill), il bravissimo Mattia Olivieri (Slook) la vivacissima Fanni di Paola Leoci. Dirigeva l’esperta Filarmonica Rossini con gusto Cristopher Franklin. Successo e piacere per la freschezza dello spettacolo, che era stato preceduto dalle Soirées musicali con le ariette rossiniane estroverse cantate da giovani promettenti come il soprano Vittoria De Amicis e il tenore Paolo Nevi (qualche difficoltà negli acuti). Momento di gioia del sempreverde Gioachino in questa edizione “creativa” del Festival.