Il ritorno della “renna pazza”?

Una malattia analoga a quella che scatenò l'allarme "mucca pazza" è stata rilevata tra le renne della Norvegia. E mentre si rifuggono facili allarmismi, sono già state prese le prime misure di sicurezza
Foto: Jens B'ttner/picture-alliance/dpa/AP Images

Chi non ricorda la crisi della “mucca pazza“? Nel corso di una decina d’anni, dall’’86 al ’96, scatenò un tale allarme sanitario da obbligare al sacrificio di centinaia di migliaia di mucche, oltre che a misure di ferreo controllo ed embargo della carne commercializzata entro le frontiere dell’Ue. E non parliamo dell’impatto economico. Ormai sono passati vent’anni da quando la situazione è stata dichiarata sotto controllo, dopo che la variante della malattia negli esseri umani ha provocato 200 morti. Eppure, ogni tanto, i meccanismi di controllo sulla malattia tirano fuori un nuovo caso rilevato qua e là, com’è successo nel maggio scorso con una mucca in un paesino del nord della Spagna.

Il “prione”, una proteina alterata che colpisce il cervello e il sistema nevoso, fu allora identificata come la causa di quella malattia (encefalopatia spongiforme bovina). Ora torna di nuovo a destare preoccupazione, non per le mucche, ma per le renne e gli alci nei paesi scandinavi. È conosciuta come “malattia da deperimento cronico” (CWD nella sua sigla in inglese), abbastanza comune nelle mandrie di renne in Nord America, che negli ultimi anni ha traversato – chissà come ­– l’Atlantico, infettando animali soprattutto in Norvegia. La CWD assomiglia alla “mucca pazza” in quanto varietà di malattia encefalopatica spongiforme trasmissibile, e fino a poco fa si credeva limitata a cervi e alci in America del Nord e Corea del Sud; ma appunto, nel maggio dell’anno scorso è stata rilevata in due animali selvatici della Norvegia.

Senza voler attivare tutti gli allarmi, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA)1 nel gennaio scorso ha reso pubblico il fatto, consigliando delle misure per prevenire la diffusione della malattia – in particolare negli altri Paesi scandinavi, perché gli animali non conoscono frontiere. Gli esperti hanno comunque confermato che per ora non ci sono evidenze sul rischio per le persone che consumano la carne di animali infetti. L’Efsa ha proposto anche un sistema di monitoraggio per rilevare se la malattia sia presente in otto Paesi: Norvegia, Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Islanda.

Tra le misure possibili c’è anche l’uccisione degli animali considerati infetti. Ecco perché in Norvegia si è già autorizzata l’eliminazione di almeno duemila renne, che dovranno esse uccise entro maggio del 2018. Finora sono stati presi circa 20 mila campioni in diverse specie di cervidi per capire il grado del contagio della malattia, e il ministero dell’Agricoltura e l’Alimentazione norvegese ha deciso di portare avanti questa strategia nella regione di Nordfjella, dove sono apparsi i primi casi. Una decisione che non tutti condividono, come lo stimato scienziato Ketil Skogen dell’Istituto norvegese per le ricerche della natura (Nina). Secondo lui si tratta di un «segnale di allarme» non necessario. Le autorità, però, si difendono dietro alle raccomandazioni emanate da Bruxelles.

1) https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/170118

 

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