Se c’è una cosa di cui abbiamo bisogno in questi nostri tempi difficili, questa è la speranza. Precisiamo che per essa intendiamo non il vago auspicio con cui ci si augura che tutto vada per il meglio, ma quella “virtù” che la tradizione cristiana qualifica come “teologale”.
Tommaso d’Aquino spiega infatti che è con Dio, in prima istanza, che la speranza ha a che fare: perché mediante essa si fa affidamento sul suo amore, riconoscendo nella comunione con Lui la propria felicità. E tuttavia, anzi proprio per questo, la speranza risveglia nell’essere umano i gesti elementari dell’esistenza. È di questa passione dell’anima che sembra oggi essersi persa la traccia.
Tanto che paiono lontani gli anni in cui, dopo la seconda guerra mondale, si parlava con Ernst Bloch del “principio speranza” come motore della storia, un principio che il teologo Jürgen Moltmann rileggeva nella luce dell’avvento del Regno di Dio in Gesù. Erano i tempi della nuova frontiera americana, del disgelo tra Stati Uniti e Unione Sovietica, della primavera del Concilio Vaticano II… e la speranza accendeva i cuori e lievitava le menti.
Oggi, l’archiviazione delle ideologie e delle utopie, l’estendersi in molteplici zone del pianeta di situazioni di guerra che ci coinvolgono sempre più da vicino, il contesto di una crisi climatica globale che rischia di raggiungere un punto di non ritorno, lasciano libero campo non tanto a quelli che si additavano come i peccati contro la speranza, cioè la disperazione o la presunzione, ma alla rassegnazione o al cinismo.
E quindi, da un lato, al programmatico sfruttamento delle tragiche opportunità offerte da questo intollerabile stato di fatto, e, dall’altro, alla resa senza condizioni agli oscuri meccanismi che sembrano sovrastarci e determinare il corso delle cose.
È dunque un invito che non dobbiamo lasciar cadere quello che papa Francesco ci ha rivolto indicendo un Giubileo che ha il suo messaggio centrale nella speranza. Vuol essere la provocazione a un sussulto condiviso, argomentato, fermo e responsabile di fede, di critica, d’immaginazione e di progettazione. Un risveglio a tutto tondo della speranza.
Perché l’assenza di speranza, per un individuo come per una società, è il sintomo più prossimo della morte.
Ma occorre scavare dentro l’uomo, e dentro la sua esperienza sociale e storica alla luce dell’amore e della fede di Dio in noi.
Come ci ricorda papa Francesco, citando l’apostolo Paolo: «La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5,5).