Ricominciare dalla cooperazione

Continua il dialogo con Giuseppe Sangiorgi, dell'Istituto Luigi Sturzo, sulle strategie per rispondere alla crisi economica vissuta dal Paese
macchine e operai

Proponiamo la seconda parte dell'intervista fatta a Giuseppe Sangiorgi sull'importanza dell'economia civile per il nostro Paese.

Lei dice che "La fine della contrapposizione tra i modelli capitalista e collettivista ha segnato la loro crisi e la necessità di aprire un nuovo ciclo di carattere storico”. Da dove si può ricominciare?
«Nella crisi, il sistema cooperativo è stato l’unico che ha consentito di continuare ad assumere, così come per esempio ha fatto un’azienda che io definisco "sturziana", quella di Eataly di Oscar Farinetti e della sua famiglia, perché valorizza la qualità dei territori, con il retroterra antropologico e di creatività locale che tutto questo comporta. Ce ne sono tante di queste iniziative. L’Istituto Sturzo sta facendo una sorta di censimento che pubblichiamo nel nostro sito Internet sotto la voce “generatività”. La nuova economia è quella che riesce a partire dalla qualità dei territori, che sono un valore aggiunto e non una forma di “terzomondismo”, come certo riduzionismo capitalista tende a interpretare. Il segreto del successo della Germania è stato l’economia sociale di mercato, quella che  vede i dipendenti della Volkswagen partecipare alla gestione dell’azienda. Da noi pensiamo alla difficoltà delle relazioni sindacali in un’azienda come la Fiat. Il capitalismo renano è straordinariamente diverso da quello liberista. Quella che ha investito con grande forza l’Italia non è una crisi congiunturale: dobbiamo dare vita a un nuovo ciclo. Siamo come nel dopoguerra, quando si trattava di ricominciare».

Eppure in Italia è stato messo sotto attacco l’articolo 41 della Costituzione che, definendo la libertà dell’iniziativa privata, afferma che «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
«Il freno all’economia italiana non è certo in quell’articolo. Sturzo anzi ha insegnato che l’economia senza etica è dis-economica. E prima ancora lo ha insegnato Giuseppe Toniolo. È vera semmai una cosa diversa, che le forme di economia mista pubblico-privato, che nel passato hanno avuto una funzione importante per colmare squilibri strutturali nel Paese, hanno fatto il loro tempo. Ma anche qui dobbiamo fare attenzione. Dobbiamo anche riflettere sugli errori compiuti negli ultimi 25 anni, come ci ha invitato a fare il governatore della Banca d’Italia. Penso a un caso per tutti di svendita del patrimonio pubblico: quello della Telecom. È vero come diceva Stuart Mill che ogni posizione di monopolio conduce allo spreco e al privilegio, ma negli anni Novanta l’Italia ha interpretato la direttiva europea sulle liberalizzazioni nelle comunicazioni procedendo anche alla contestuale privatizzazione di un settore tecnologico strategico per fare cassa, al contrario di Francia e Germania dove lo Statoha mantenuto il pacchetto di controllo. Se osserviamo la capitalizzazione dell’impresa Telecom Italia, che è data dal prezzo delle singole azioni per il numero delle stesse, ci rendiamo conto che nel 1998, al momento della vendita, era di 100 miliardi di euro per poi precipitare a 20 miliardi nel 2008. Il sistema privato ha portato alla cessione di importanti asset di quella straordinaria società ad altri soggetti, finendo per accumulare 30 miliardi di euro di debiti mentre prima staccava per lo Stato ricchi dividendi».

Il discorso ritorna alla domanda iniziale: quali margini reali si hanno per poter operare se queste operazioni, come nel caso di Telecom Itala, sembrano l’esito di strategie predefinite? 
«Il problema è proprio questo. Se leggiamo i programmi dei partiti vediamo che non c’è traccia di una proposta di politica economica adeguata a questa crisi. Come Sturzo, abbiamo avviato il progetto “Genius Loci”, l’archivio della generatività italiana del quale ho già accennato, proprio per mostrare dove sono i segni presenti nel Paese che rispondono in maniera efficace alle sfide attuali. Ci sono aspetti della società italiana che sfuggono a una visione asfittica dell’economia, come ad esempio la percezione della famiglia come prima impresa sociale che va riconosciuta e sostenuta. Ogni anno si stima che la sussidiarietà delle famiglie di fronte all’inefficienza dello Stato in campo sociale e sanitario raggiunge la cifra di 20 miliardi di euro. Bisogna saperlo gestire come un investimento e non un costo da esternalizzare. Esiste la dimensione dei beni relazionali che sfuggono ai parametri strettamente economici perché hanno un valore così elevato da non poter avere prezzo. Lo compresero bene esponenti della Scuola di Francoforte come Adorno e Horkheimer, con pagine di straordinaria analisi della gratuità che eccepisce dalla logica dello scambio». 

Eppure quando avete affermato questi concetti nel convegno di Napoli, dedicato a Genovesi, il giorno prima era andata a fuoco la Città della scienza in un’area post industriale che resta da bonificare e forse questo è l’aspetto più preoccupante per un Sud che affonda assieme al Paese, che sembra senza prospettive.
«È lo stesso che sta avvenendo con l’Ilva di Taranto. Benedetto XVI ha posto nella Caritas in veritate la questione ecologica come problema economico e politico centrale che richiama la necessità di una formazione adeguata a mantenere una visione d’assieme dei problemi. Per questi motivi come istituto stiamo pensando, proprio per aiutare a compiere delle scelte coerenti, di offrire sul nostro sito una cartina dell’Italia con gli indicatori di qualità per ogni settore così come definiti dalle più affidabili agenzie italiane e  internazionali di valutazione. La scelta dell’Istat di introdurre, accanto al Pil (Prodotto interno lordo), l’indice di benessere equo sostenibile (Bes) va in questa direzione. Misurazioni analoghe avvengono in altri Paesi, come gli Usa, dove Robert Kennedy nel 1968 affermava che il Pil “misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”». 

C’è come una frattura da ricomporre…
«Due grandi economisti come Genovesi e Smith hanno insegnato economia provenendo dagli studi di filosofia morale. "Fatigate per il vostro interesse, ma non vogliate fare l’altrui miseria": basterebbe questa frase di Genovesi per comprendere il senso di un’economia diversa da quella che pone l’essere umano in perenne competizione basandosi sulla visione – così sconsolante – di Hobbes, per la quale non si esce fuori dall’orizzonte dell’“Homo omini lupus”».

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