Rete tra sindaci per salvare il lavoro

Intervista al primo cittadino di Genova, Marta Vincenzi. Nella sua comunità cittadini e istituzioni  si sono messi in gioco per uscire dalla crisi, gemellati con Castellamare
Marta Vincenzi

Il sindaco di Genova Marta Vincenzi ha vissuto in prima persona la crisi della Fincantieri di Sestri Ponente, la cui chiusura lascerebbe una scia di problemi di non facile soluzione. Il primo cittadino ha voluto sottolineare che, in una logica europea, «se ce la fanno le industrie navali francesi e tedesche, anche quelle italiane possono farcela». Infatti le navi e la creatività nostrana sono un vanto tra il made in Italy, e abbandonarle sarebbe come dare un segno negativo al futuro.

 

Persona fortemente ancorata alla realtà, Marta Vincenzi ha dichiarato che nell’attuale crisi è serio parlare di riorganizzazione, di ridimensionamenti, anche di eventuali tagli, ma non di chiusura. Tra l’altro non si è arroccata nella situazione cittadina e regionale, ma ha cercato chi è in crisi come i suoi cittadini ed ha fatto fronte comune con Luigi Bobbio, sindaco di Castellamare di Stabia, e poter scongiurare la chiusura dei rispettivi stabilimenti Fincantieri. I due sindaci, che giusto per la cronaca sono di schieramenti diversi, hanno convenuto su molti aspetti delle iniziative da approntare.

Su questi argomenti abbiamo posto al sindaco di Genova alcune domande.

 

Signora sindaco, lei era pronta a “bloccare la città”; il vescovo Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, si domandava come celebrare il Congresso Eucaristico ad Ancona dove c’è il rischio di chiusura di altre fabbriche. Si deve arrivare a queste cose visto che «le fabbriche sono anche di una città, del sindacato, degli operai, di un intero popolo»?

«Le città dovrebbero costruirsi come grandi comunità, in cui si è tutti reciprocamente interdipendenti e responsabili. Se chiude una fabbrica, la ricaduta non è solo sui lavoratori ma su tutti: difendere la loro dignità e quella delle loro famiglie significa difendere la dignità stessa della città. In questo senso, se serve a raggiungere l’obiettivo – cioè a mantenere i posti di lavoro e le attività produttive sul territorio – dico sì: bloccare la città, come è successo per Fincantieri, in modo ordinato, condiviso, partecipato, ha prodotto i suoi effetti. Se l’obiettivo è chiaro, forte, far partecipare tutti è doveroso per il sindaco: l’occupazione, le attività, il benessere dei cittadini giustificano tutte quelle azioni, pacifiche e ordinate, che si possono mettere in campo».

 

Il problema dell’occupazione è diventato ormai ineludibile, sia per la ricerca di quella nuova sia per mantenere quella che c’è. Come governare territorio e globalizzazione?

«Si può: esempi ne sono l’attuale costruzione del Piano urbanistico comunale (Puc) e il progetto Smart Cities. In entrambi i casi la città è vista come una realtà aperta, interconnessa con il mondo, non solo attraverso le grandi arterie infrastrutturali, ma anche attraverso i percorsi culturali dello sviluppo dei diritti, tra cui quello al lavoro, che nell’epoca della globalizzazione non hanno più soltanto la dimensione locale ma globale. Bisogna quindi tenere presente sempre queste due coordinate: il locale e il globale. Ovviamente si tratta di scelte la cui ricaduta non è immediata. La "visione" andrebbe accompagnata da una coraggiosa politica industriale e dal sostegno all’innovazione tecnologica da parte di Stato e Regioni».

 

Il Comune di Genova, con la rinascita del porto antico e con azioni di rivalorizzazione di aree del centro storico, ha compiuto e sta compiendo importanti processi. Quanto sono esportabili simili azioni in altri contesti, come il lavoro ad esempio?

«Genova ha promosso un radicale cambiamento urbanistico, che ha valorizzato luoghi e patrimonio artistico; ma, soprattutto nel centro storico, oltre ad una rivalutazione urbanistica si è dato vita a un grande percorso di partecipazione, che ancor oggi continua, con tutti coloro che vivono, lavorano e operano in alcune zone particolarmente difficili e degradate. Ne sono esempi, tra gli altri, il Patto per la Maddalena, che è condiviso da Istituzioni, Civ, abitanti, operatori economici e da una fondazione bancaria e l’incubatore Centro Storico, che supporta e finanzia nuove imprese (attraverso la legge 266, la cosiddetta Bersani), o aiuta quelle già esistenti. Sono tutte attività che animano e richiamano gente nel centro storico. Il modello è esportabile, se non viene gestito solo dalle istituzioni, ma si crea una partecipazione diffusa, se si ascolta e si restituisce».

 

Cosa si è sentita di dire alle famiglie degli operai di fronte alla loro odierna situazione perché si sentano sempre persone e comunità?

«Certamente la mia solidarietà e la mia vicinanza, ma soprattutto il mio massimo impegno a operare perché in questa città i lavoratori si sentano sempre gli attori principali. Oggi si sta diffondendo una nuova forma di egoismo sociale, di individualismo senza regole che frammenta e divide: ognuno è sempre più solo di fronte ai suoi problemi. Dobbiamo ricostruire quei legami solidali e quella cultura che nasceva nella fabbrica e nei luoghi di lavoro e che, insieme al lavoro, rischiamo di perdere. Per questo stiamo lavorando e intervenendo su tutte le situazioni di crisi aziendali, che sono pesanti in città, e cerchiamo di rendere la città più vivibile e più accogliente prevedendo che nel bilancio non si riducano le risorse per i servizi sociali, per i servizi educativi».

 

Di fronte a emergenze come queste esiste ancora il centro destra, il centro sinistra…..?

«Certo, ed è giusto che ci siano. La democrazia cresce se cresce la possibilità di dialogo e di ascolto tra linee di pensiero differenti. L’importante (e la crisi Fincantieri l’ha dimostrato) è che si sappia costruire un’azione trasversale quando il bene della città lo richiede».

 

Di recente a Genova c’è stato un importante convegno sull’unità, il federalismo e la fraternità. Come coniugare questi principi di fronte alla crisi come quella della Fincantieri?

«Direi che proprio in questi momenti è necessario essere uniti, vicini ed aiutarci, e, come ho detto prima, al di là degli schieramenti, perché il bene della città supera indubbiamente le visioni di parte».

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons