Resistere nella speranza

Palestinesi di varie Chiese cristiane hanno elaborato insieme un appello per la pace in Terra Santa. Un invito a lavorare in questa direzione rivolto non solo ad israeliani e palestinesi, ma al mondo intero.
pace palestina

«Noi, i cristiani della Palestina, dichiariamo che l’occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l’umanità, e che ogni teologia che la legittimi è lontana dagli insegnamenti del Vangelo». Con queste parole un gruppo di appartenenti a varie Chiese cristiane – cattolici, ortodossi, copti, maroniti, anglicani, luterani ed altri – lancia un accorato appello alla comunità internazionale, ai cristiani di tutto il mondo, agli israeliani e ai propri compatrioti perché lavorino «contro l’ingiustizia e la discriminazione e per una pace giusta e duratura».

 

L’appello, diffuso il 15 dicembre scorso e sottoscritto dai patriarchi di tutte le Chiese di Gerusalemme, non è certo la prima voce che si leva a sostegno della pace in Terra Santa. Ma ciò che contraddistingue questo documento, nato da oltre un anno «di preghiera e di discussione», è il fatto di accomunare tutte le confessioni cristiane presenti sul territorio. Il modello è una simile dichiarazione adottata in Sudafrica nel 1985, che ha contribuito a mettere fine all’apartheid.

 

A spingere la popolazione ad agire è stato il sensibile peggioramento della situazione, giunta «ad un punto morto. Il problema non è solo politico, ma umano, ed è dovere della Chiesa occuparsene». Nel testo si fa riferimento soprattutto alla costruzione del muro che separa Israele dai territori palestinesi, che ha significato confisca di terreni e separazione di famiglie. Ma non vengono tralasciate nemmeno le restrizioni alla libertà religiosa – ai palestinesi viene spesso negato l’accesso ai luoghi di culto per ragioni di sicurezza – e la situazione dei rifugiati, che vivono da anni nei campi. Inoltre, si denuncia, i palestinesi che vivono in Israele soffrono pesanti discriminazioni: «Le loro carte d’identità vengono confiscate, con la conseguente perdita del diritto di residenza. Le loro case vengono demolite o espropriate».

 

Sebbene alcuni abbiano risposto con la violenza, questa non è la strada che i cristiani scelgono di percorrere: «Noi crediamo in Dio. Il che significa, qui ed ora, costruire insieme una nuova terra sull’amore e sul rispetto reciproco». Resistenza non violenta all’oppressione, opere di apostolato già avviate nelle parrocchie, centri di teologia, dialogo interreligioso, impegno personale a superare l’odio: tutto questo fa parte di una «resistenza creativa, che vede Dio anche nel nemico e chiama in causa la sua umanità. Non resistiamo portando la morte, ma rispettando la vita». Per questo l’appello è rivolto ad entrambe le parti in causa – israeliani e palestinesi – così da diventare «partner di pace e non di violenza».

 

Il documento chiama in causa il mondo intero: sia la comunità internazionale, colpevole di aver spesso applicato un «doppio standard» di fronte alle politiche aggressive di Israele, sia i cristiani di tutto il mondo, ai quali viene chiesto di pregare e lavorare per la pace e di «rivedere posizioni teologiche estremiste». Oltre al ringraziamento per la solidarietà ricevuta, i cristiani palestinesi invitano i loro fratelli e sorelle al pentimento: «Forse siamo stati zitti quando invece avremmo dovuto alzare la voce contro l’ingiustizia, e condividere il dolore di chi soffre». Non manca nemmeno una mano tesa verso i leader religiosi ebrei e musulmani, «con i quali condividiamo la visione di ogni essere umano come creature di Dio».

 

Tono dominante di tutto il documento è la speranza in una pace possibile, della quale già si vedono i segni: tra questi, il crescente interesse in tutto il mondo per la questione palestinese. Un modo per manifestarlo è firmare questa petizione, disponibile sul sito A moment of truth dell’associazione Kairos Palestine.

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