Referendum Giustizia, perché no alla separazione delle carriere

La separazione netta della carriera dei magistrati, proposta dai referendari, non risolve il problema dello spirito corporativo dei giudici e ha effetti negativi nei rapporti tra Pm e potere politico. L’opinione di un avvocato nel Focus sul referendum del 12 giugno   
Aula tribunale italiano. Photo Guido Calamosca/LaPresse

Il terzo quesito referendario sulla giustizia, sottoposto al voto il 12 giugno, affronta il tema della separazione delle carriere dei magistrati.

I promotori spiegano che, se vince il Sì, “Il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale”.

Aggiungono che attualmente “nel corso della carriera, gli stessi magistrati passano più volte dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa” (così il sito dei promotori). Per funzione requirente, si intende il Pubblico ministero (PM), ossia quale magistrato a cui è affidata la conduzione delle indagini, l’individuazione del soggetto che potrebbe essere colpevole, la richiesta di rinvio a giudizio, ed infine il ruolo di accusatore nel giudizio.

Il giudicante invece è il classico giudice, terzo ed indipendente, rispetto a Pubblico Ministero e difensore dell’imputato.

Allo stato attuale, il magistrato che vince il concorso, può decidere, per un massimo di quattro volte nella sua vita professionale, di cambiare funzione, a patto però di cambiare regione (legge n. 111/2007), e di non rimanere meno di 5 anni nella nuova funzione.

Ad avviso dei promotori questo passaggio dalla funzione accusatoria a quella di giudice “crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri”.

Il passaggio da una funzione all’altra sarebbe, quindi, decisivo per creare uno spirito di corpo, tra giudici e PM che influirebbe poi nelle decisioni, spingendo il Giudice a dare più facilmente ragione al suo collega anziché all’avvocato difensore privato. Ed è su questa base che una buona parte dell’avvocatura organizzata, in Italia, è decisa ad appoggiare il Sì.

Nel contempo chi si mobilita per il No, teme che la separazione definitiva delle funzioni, e dunque creare PM e giudici ben divisi, sia l’inizio di un percorso che vuole sottomettere il Pubblici Ministeri al Governo, o comunque a più stringenti vincoli nella scelta dei reati da perseguire prioritariamente (e dunque anche su quelli, da lasciar correre).

Si tratta allora di capire, prima di tutto, e ragionando al di fuori dei consueti schemi, se davvero il fatto di impedire il passaggio da una funzione all’altra possa influire positivamente sulla qualità delle decisioni, proprio in un’ottica garantista.

Anche molti avvocati sono, infatti, perplessi nell’idea di creare una figura di magistrato che, dall’inizio alla fine della sua carriera, sia destinato e dedicato solo al ruolo di pubblica accusa. Molti ritengono che una migliore cultura e formazione si acquisisce solo se uno stesso soggetto ricopre tutti i ruoli del processo. In astratto meglio ancora sarebbe se il magistrato svolgesse prima il ruolo di difensore, poi di accusatore, poi di giudicante, e poi ruotasse ancora.

Chi ha giudicato, sarà anche più prudente nell’accusare (nel chiedere un rinvio a giudizio). Chi ha accusato e difeso sarà più consapevole nel giudicare. Negli USA, ad esempio, gli avvocati per un periodo sono chiamati a svolgere il ruolo di procuratori dell’accusa, poi tornano a fare gli avvocati difensori.

Il tema sollevato dai promotori è reale e concreto.  Chi sostiene il ruolo dell’accusa, in un giudizio, ha una posizione privilegiata, che potremmo definire come una sorta di accesso agevolato al convincimento del giudice giudicante. I promotori ritengono che sia legato ad uno spirito di corpo, che si crea per il passaggio da una funzione all’altra, e dunque al senso di colleganza. Non è così.

Il nodo, che va esposto con chiarezza ai lettori, è che il PM è un soggetto pubblico. Quando decide di “accusare” si presume lo faccia nell’interesse pubblico. In sostanza, è vero che nel processo vi è un pregiudizio favorevole alla tesi del PM. Ma questo nasce dal fatto che il PM accusa in buona fede, perché ne è convinto, perché ha trovato la (sua) verità, giusta o sbagliata che sia, ma nel pubblico interesse, mentre l’avvocato rappresenta una parte privata (che si difende nel proprio interesse). Ecco perché nel giudizio la parte pubblica è avvantaggiata, perché un giudizio super partes, quando inizia il processo, c’è già stato. Ed è quello del PM che ha deciso di accusare l’imputato.

Questo pregiudizio non si potrà mai eliminare. È presente anche nel giudizio civile o nel giudizio amministrativo presso il TAR. Il problema è che una parte è pubblica, ed il difensore della parte pubblica agisce (o si presume agisca) nell’interesse collettivo.

Spesso nel giudizio civile o amministrativo, la parte pubblica, ad esempio l’ente locale, è difeso da un avvocato privato (io stesso ho difeso enti pubblici), e non cambia nulla: nel momento in cui si sente in aula “lo Stato del Texas contro Tizio”, non c’è nulla da fare, non ci potrà mai essere vera “parità di parti”.  

Ciò che rileva, ai fini del nostro dibattito, è che nulla potrà mutare questa situazione, e certamente non il fatto di separare le carriere. Per mutare questo pregiudizio positivo all’accusa, occorrerebbero tali sconvolgimenti, da non essere affatto consigliabili. Infatti per rovesciare un simile pregiudizio, il giudicante dovrebbe pensare che un magistrato della Repubblica possa accusare un innocente, scientemente, in malafede, senza esserne neanche lui convinto. E sarebbe grave che lo pensasse…

Dunque, a mio personale giudizio, il quesito è illusorio nelle intenzioni, e peggiorativo nella pratica, proprio nel senso garantista. Infatti non è affatto positivo costruire una professionalità del magistrato PM, incentrata solo sull’accusare. Si è detto che il primo giudizio lo dà il PM, quando decide se accusare o meno.  In questo senso è importante che il PM acquisisca la cultura del giudizio di terzietà, e che eviti di proporre accuse che non siano suffragate in termini probatori, ed in questo giudizio sulla prova, lo devono soccorrere le reminiscenze di quando giudicava.

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In merito al referendum sulla giustizia del 12 giugno 2022 cittanuova.it dedica una serie di articoli di diversa opinione consultabili nel focus Referendum giustizia

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