Sfoglia la rivista

Persona e famiglia > Musica

Radici, identità e arte: a lezione da Jorge Drexler

di Alberto Barlocci

- Fonte: Città Nuova

Musicista e cantante uruguayano, si definisce un «moro ebreo che vive con i cristiani». Insegna che l’arte appartiene legittimamente a tutti i popoli. E lo fa parlando in poesia e musica.

Jorge Drexler (AP Photo/Rebecca Blackwell)

In Italia forse pochi conoscono il musicista e cantante uruguayano Jorge Drexler, più noto in terre sudamericane e spagnole. È autore del principale tema della colonna sonora del film “I diari della motocicletta”, che abbraccia la prima parte della vita dei Ernesto Che Guevara, e che venne premiata con l’Oscar alla migliore canzone. Ciò nonostante, a Drexler non venne consentito di cantare la sua canzone – Al otro lado del río –, ritenuta «troppo lenta», alla quale si preferì una versione più ritmata, facendo indignare l’autore, che non poté far altro che intonare alcune battute al momento di ricevere la statuetta.

Da buon uruguayano, Drexler è un cultore della sobrietà. Rifugge gli atteggiamenti da divo anche se è dotato di un notevole talento. La sua famiglia è l’esempio del crogiolo di razze e culture che si sono incrociate in America Latina trovando il modo di convivere in armonia: figlio di padre ebreo e di madre cristiana, ma – ci tiene a chiarire – non praticante. Racconta, in una conferenza Ted talks, che a casa sua era normale che il nonno paterno si vestisse da Babbo Natale e che il nonno materno andasse alla sinagoga con tanto di kippà per celebrare la festa di Hanukà. Ma non praticare una religione, cosa comune in Uruguay, non significa essere insensibili allo spirito religioso.

(AP Photo/Chris Pizzello)

Durante un suo concerto in Israele, Drexler racconta che poté ritrovare parte delle sue radici e rimase scosso dal conflitto permanente tra palestinesi e israeliani, soprattutto perché ha potuto far sue le ragioni dei due popoli. Il che rafforzò in lui la convinzione che l’arte, e forse le religioni, pur avendo una determinata nascita anche geografica, toccano poi le corde dell’anima al punto che ciascuno le fa proprie. Cominciò allora a studiare una di queste espressioni artistiche: la décima. Si tratta di un tipo di composizione poetica sorta in Spagna alla fine del ‘500. Si compone di dieci versi che seguono una metrica in ottosillabi con uno schema preciso: il primo verso fa rima col quarto e col quinto, il secondo col terzo, il sesto col settimo ed il decimo, e l’ottavo verso col nono. Capirete che non è per niente facile. Ciò che stupisce è che mentre in Spagna la décima è andata persa, attraversando l’Atlantico si è conservata ed è considerata propria in molti Paesi con almeno venti nomi diversi: mejorana a Panama, galerón in Venezuela, jarocho in Messico. In Uruguay, Argentina e Cile è la payada. Nelle feste rurali, si alterna il rodeo di cavalli con sfide di versi improvvisati dai “payadores”. Uno spettacolo unico. La grande cantautrice cilena Violeta Parra compone in décima la sua narrazione autobiografica.

Come nel caso della décima, anche ritmi e musiche sono vasi comunicanti. E Drexler lo spiega ripercorrendo la storia del ritmo conosciuto come milonga che l’Uruguay considera come proprio (fa parte della cultura del tango). Ma è uruguayano quel 3-3-2 che è il suo schema ritmico? È semplice provateci con le mani (l’accento serve): tàtata, tátata, tata… In realtà, questo ritmo nasce in Africa da dove si sposta fino alla Persia, nei cui bordelli era conosciuto nell’XI secolo, per poi arrivare in Spagna e, cinque secoli dopo, approdare in America Latina insieme agli schiavi africani; nei Balcani invece si incrocia con alcune scale gitane ed alcune tonalità diventano tipiche, mentre tra gli ebrei ucraini dà origine al klezmer, un ritmo che porteranno con loro a New York dove diventerà popolare: “Hava Nagila” è il canto forse più conosciuto.

https://www.youtube.com/watch?v=vHSNZK4Je-Y&list=RDvHSNZK4Je-Y&start_radio=1&t=28s

Drexler aggiunge che il klezmer giunge un giorno all’udito geniale di un argentino di origini italiane finito a New York, che assorbe quel tátata tátata tata e lo immette nel tango e nella sua milonga. Quel giovane è Astor Piazzolla.

Questa versione di Libertango, una sua composizione, unisce all’inizio la mistura delle radici comuni:

Piazzolla usa per le sue musiche il bandoneón (un tipo di fisarmonica), che altro non è che uno strumento usato nel XIX secolo nelle chiese che non potevano permettersi il lusso di un organo, e raggiunge, per questo incrociarsi della storia, il Río de la Plata, dove il tango riunisce gli estremi di questo viaggio: la chitarra spagnola ed il bandoneón.

Drexler si sentiva in debito con questa storia per cui nel 2004 ha composto una décima, ma seguendo lo schema della milonga lo ha battezzato: “Milonga del moro ebreo”. Esprime così il suo modo di osservare il conflitto israeliano-palestinese: «Sono un moro ebreo che vive con i cristiani/Non so qual è il mio Dio, né quali siano i miei fratelli», canta nel ritornello. Ricorre all’arte per contribuire a far pace, partendo da identità e radici che sono molto più comuni di quanto si possa immaginare. Come le radici della famiglia umana.

«Per ogni muro un lamento/a Gerusalemme la dorata/E mille vite spese male/per ogni comandamento/sono la polvere del tuo vento/e anche se sanguino per la tua ferita/ed ogni pietra amata/non c’è una pietra al mondo/che valga quanto una vita»

«Non c’è un morto che non mi duole/non ci sono vincitori/non c’è altro che dolore/ed una vita che se ne va/La guerra è una pessima scuola/non importa come si traveste/scusate se non mi arruolo/sotto nessuna bandiera/vale più una chimera/che un pezzo di tela triste”.

A nessuno ho dato il permesso/di uccidere in nome mio/un uomo non è che un uomo/se c’è un dio così lo ha voluto/lo stesso suolo che calpesto/continuerà e me ne sarò andato/verso l’oblio/non c’è dottrina che non ci vada/e non c’è un popolo che non abbia/ creduto di essere il popolo eletto.

Sono un moro ebreo, che vive con i cristiani/ Non so qual è il mio Dio, nè quali siano i miei fratelli»

Forse un giorno potremo accogliere la pace, cantando assieme. Tàtata, tàtata, tata

Riproduzione riservata ©

Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876