Qui Barcellona: il miglior calcio al mondo

«La migliore squadra della storia», come la definiscono con tono trionfalistico vari quotidiani sportivi spagnoli, inanella l’ennesimo record, aggiudicandosi lo scorso sabato 19 il Mondiale per club di calcio: al Nissan Stadium di Yokohama, il Barcellona del tecnico Luis Enrique ha conquistato il suo terzo titolo mondiale
Barcellona

Altra finale, altro trofeo, ancora un record: uno scintillante Barça continua a scrivere le più eleganti pagine della storia recente del calcio: ultima vittima sacrificale il River Plate, dominato con un netto 3-0 finale, peraltro annunciato visto l’evidente divario tecnico ormai annualmente di scena nelle finali del “mundialito”, puntualmente opponenti la vincitrice della Champions League europea e la Coppa Libertadores del Sudamerica. Le firme, manco a dirlo, sono di in ogni caso di Lionel Messi, con un tocco volante di esterno, e di Luis Suarez, proclamato a fine partita miglior giocatore di questo Mondiale. Il Barcellona ha battuto anche se stesso, superando il proprio primato di gol segnati nell’anno solare, ora a quota 176: sbalorditivo pensare che di queste reti ben 134 sono state segnate dai componenti del micidiale tridente offensivo che conta sui 47 centri di Messi, i 46 di Suarez e i 41 Neymar.

Il River plate? Grande tradizione ma poca sostanza da opporre allo straordinario “dream team” blaugrana: la squadra argentina, spinta da 15 mila tifosi al seguito, ha retto nel primo tempo, in virtù di una maggiore fisicità tradottasi in più di un’entrata ai limiti del regolamento. Ma il calcio del Barça appare irresistibile, e non certo da sabato. Il sopracitato trio Messi-Suarez-Neymar, stelle sudamericane rispettivamente plasmate da Argentina, Uruguay e Brasile, è solo la prima linea di una corazzata encomiabile per capacità di sviluppare ininterrotte trame di gioco, sincronia e totale copertura del campo con impressionante intensità.

Non colpisce solo la caratura di una rosa piena zeppa di “pezzi da 90”, quanto soprattutto la perfetta intesa tra reparti e interpreti: presi uno per uno, questi giocatori appaiono formidabili sul piano tecnico, nonostante nessuno di essi, escludendo il difensore centrale Piquè, vanti imponente struttura fisica. Il 4-3-3 ormai dogmatico da un decennio, nonostante i cambi in panchina, è il modulo ormai noto quale marchio di fabbrica dei catalani, che hanno reso celebre il mito del “tiki taka”, quell’insistita e snervante rete di passaggi che coinvolge sostanzialmente tutti gli undici effettivi in campo. Un controllo di palla composto dal continuo smarcamento geometrico sapiente dei suoi interpeti, che tendono a offrire sempre due soluzioni al portatore di palla, libero sia di tenere la sfera che di cederla rigorosamente rasoterra al compagno, spesso vicino.

Uno stile di gioco che trovò già in Pep Guardiola, vecchia conoscenza del calcio italiano, sapiente maestro, e che vide nella Spagna dei Ct Luis Aragones e poi Vicente Del Bosque, imbottita proprio di calciatori blaugrana, stravincere due Europei, nel 2008 e nel 2012, e un mondiale, imponendo un dominio incontrastato che solo una maggiore anzianità dei suoi protagonisti, più che l’emergere di nazioni dal calcio migliore, ha chiuso. Così Leo Messi, “pulce” dal controllo di palla mancino forse migliore della storia, incoronato dallo stesso Diego Armando Maradona, non è che la punta di diamante di una “cantera”, ossia un vivaio, capace di sfornare ogni anno un nuovo campione se non di più, pronti da lanciare nel più grande calcio internazionale.

Un progetto societario che parte da una perfetta gestione del settore giovanile, ove si insegna a incollare il pallone al piede e infilare le difese avversarie più che come pompare i muscoli o marcare l’uomo, oggi impreziosito dall’acquisto specifico solo dei giocatori migliori sulla piazza, anno dopo anno. Così Neymar Junior, inarrestabile giocoliere letale, emblematico di un calcio allegro e talentuoso come quello brasiliano, è perfetto complice offensivo di Luis Suarez, “pistolero” infallibile dell’aree di rigore che simboleggia alla perfezione le caratteristiche del centravanti moderno: continuamente in movimento, dotato di cinismo da cecchino e resistenza da maratonete, affamato di gol e spietato per freddezza sia di testa che calciando dalla distanza.

Le cifre sbalorditive del Barça non devono stupire: «Abbiamo dato tutto e provato a fermarli – ha affermato Sabato scorso a fine gara Vangioni, giocatore del River plate – ma il pallone ce l’avevano quasi sempre loro». Intanto il suddetto Leo Messi, in attesa di conquistare il suo quinto Pallone d’Oro il prossimo 11 gennaio a Zurigo, vince il suo 26esimo titolo con il Barcellona, superando l’ex leggendario ex compagno Xavi in questa speciale classifica. «Mi sento felicissimo – commenta – di essere entrato nella storia di un club così grande. Non è facile essere la migliore squadra del mondo, ma ci siamo riusciti e adesso continueremo ad avere questa voglia di vincere tutto». Forse il segreto dei più forti al mondo, forse di sempre, incontrastati, è in un’alchimia precisa: passione per il calcio, cura dei fondamentali di questo sport fin dalla tenera età, acquisti rari ma mirati, dedizione tecnico-tattica e, soprattutto, una proverbiale fame di vittoria.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons