Quel chinarsi umile e quel bacio di pace

Concluso il viaggio di papa Francesco a Istanbul con un bilancio più che positivo. Priorità del dialogo e cura della gente. Bergoglio prima di ripartire incontra un centinaio di giovani profughi accolti presso l’Oratorio salesiano della città turca
papa

La scena è di quelle degne di restare icone della storia del cristianesimo. Il vescovo di Roma che, al termine del suo discorso nella Chiesa Patriarcale di San Giorgio al Fanar, si rivolge al vescovo di Costantinopoli. «E vi chiedo un favore: di benedire me e la Chiesa di Roma». Francesco si avvia verso Bartolomeo e china il capo, mentre il patriarca ecumenico lo abbraccia con calore e lo bacia sulla testa. Sono questi i momenti che fanno la storia perché i simboli e i gesti sono importanti soprattutto quando si cerca di camminare insieme verso l’unità su una via non sempre facile.

L’ultimo giorno di papa Francesco a Istanbul potrebbe essere racchiuso in questa immagine, ma anche in quella lontano dalle telecamere dell’incontro con un centinaio di giovani profughi assistiti presso l’Oratorio Salesiano della città turca. Sono due immagini che incorniciano non solo il viaggio in Turchia del papa argentino, ma che potrebbero essere paradigmatiche del suo pontificato. La priorità del dialogo e la cura della gente, degli ultimi come vero pastore alle periferie del mondo, fra coloro che devono fuggire per salvare la fede, l’identità e, in fin dei conti, la vita. Il papa ha confessato a questi giovani che avrebbe voluto «incontrare anche altri rifugiati, ma non è stato possibile fare altrimenti». In loro, tuttavia, il pontefice ha avuto un contatto con le centinaia e migliaia di persone che dalla Turchia, dalla Siria, dall’Iraq, da vari Paesi del Medio Oriente e dell’Africa sono dovuti fuggire, trovando accoglienza nel Paese ponte fra Asia e Europa. «Voglio manifestarvi la mia partecipazione alla vostra sofferenza e spero che questa mia visita, con la grazia del Signore, possa donarvi un pò di consolazione nella vostra difficile situazione. Essa è la triste conseguenza di conflitti esasperati e della guerra, che è sempre un male e non rappresenta mai la soluzione dei problemi, ma anzi ne crea altri». Francesco ha mostrato di capire perfettamente la vita di queste persone, sradicate, spesso nel giro di qualche giorno o, addirittura, di poche ore dalle loro terre di origine. «I profughi, come voi – ha proseguito il Papa – si trovano spesso privi, a volte per lungo tempo, di beni primari: un’abitazione dignitosa, l’assistenza sanitaria, l’educazione, il lavoro. Hanno dovuto abbandonare non solo realtà materiali, ma soprattutto la libertà, la vicinanza dei familiari, il loro ambiente vitale e le tradizioni culturali. Le condizioni degradanti in cui tanti profughi devono vivere sono intollerabili!».

Bergoglio ha assicurato tutto il suo impegno e quello della Chiesa «per rimuovere le cause di questa realtà. Lancio un appello – ha affermato-  per una maggiore convergenza internazionale volta a risolvere i conflitti che insanguinano le vostre terre di origine, a contrastare le altre cause che spingono le persone a lasciare la loro patria e a promuovere le condizioni perché possano rimanere o ritornare. Incoraggio tutti coloro che stanno operando generosamente e lealmente per la giustizia e la pace a non perdersi d’animo. Mi rivolgo ai Capi politici, affinché tengano conto che la grande maggioranza delle loro popolazioni aspira alla pace, anche se a volte non ha più la forza e la voce per chiederla!». Alla conclusione una raccomandazione: «Cari giovani, non scoraggiatevi. E’ facile dirlo ma fate uno sforzo per non scoraggiarvi. Con l’aiuto di Dio, continuate a sperare in un futuro migliore, nonostante le difficoltà e gli ostacoli che adesso state affrontando. La Chiesa cattolica, anche attraverso il prezioso lavoro dei Salesiani, vi sta vicino e, oltre ad altri aiuti, vi offre la possibilità di curare la vostra istruzione e la vostra formazione. Ricordatevi sempre che Dio non dimentica nessuno dei suoi figli, e che i più piccoli e i più sofferenti sono più vicini al suo cuore di Padre».

Un incontro che evidentemente papa Francesco ha desiderato ad ogni costo ed un discorso dalle parole e dai toni che rivelano la sua umanità capace di annunciare la Buona Novella, ma al contempo di condividere i dolori più profondi nell’anima e nel corpo della gente del mondo.

È proprio questa grande umanità che ha scandito il viaggio del papa in terra turca. Bergoglio si è rivelato ancora una volte all’altezza di un papato non facile sia per la situazione del mondo attuale – e in questi giorni si trovava in uno dei punti più caldi della terra – che della Chiesa. A proposito di questo il vescovo di Roma che siede sulla cattedra di Pietro, ha compiuto, insieme a quello di Costantinopoli, che occupa la sede di Andrea, passi importanti sulla via dell’unità. Fa senza dubbio pensare ed apre nuovi orizzonti di dialogo un papa che assicura «che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune». Francesco ha ripetuto che i cattolici desiderano essere «pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».

L’incontro e l’amicizia restano cifre chiave per capire il pontificato di Bergoglio e lo si è visto in questi giorni. Il papa argentino ha tenuto a ripeterlo: «Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee». Teologia ed amicizia, quindi, ma mai la prima a scapito della seconda.

Un ulteriore principio che papa Francesco ha voluto ribadire e che ha definito condizione essenziale e reciproca per arrivare alla piena comunione fra cattolici e ortodossi è quello dell’ «accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo». Questo significa evitare i pericoli della sottomissione o dell’assorbimento. Sono questi i temi che ritornano anche nella Dichiarazione congiunta che i due leaders religiosi hanno firmato al termine della mattinata di preghiera comune al Fanar. In essa Papa Francesco e Bartolomeo riaffermano con forza la volontà di «continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli» che ancora dividono le due Chiese. «Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione – si legge nella Dichiarazione congiunta – in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi».

La visita di Francesco in Turchia si è chiusa: un viaggio breve, ma senza dubbio carico di significati su vari fronti. La necessità di scelte di pace e dialogo per risolvere i problemi della geopolitica medio-orientale e i difficili problemi fra cristiani e musulmani, ma anche quelli interni all’Islam stesso. Ancora dialogo dell’amicizia e del rispetto delle ricchezze altrui per facilitare il cammino verso l’unità di cattolici ed ortodossi ed un’attenzione particolare alle vere periferie del mondo di oggi: rifugiati e profughi scampati alle guerre e a potenziali stermini. Francesco continua la sua testimonianza capace di coniugare la chiarezza con cui reclama la libertà religiosa e l’osservanza dei diritti umani con l’umiltà con cui chiede la benedizione del patriarca di Costantinopoli e la preghiera a coloro che incontra, chiunque essi siano.

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