Profezia, ce n’è bisogno

Le recenti dichiarazioni di mons. Galantino hanno suscitato un vespaio di polemiche, soprattutto nel mondo politico. La Chiesa deve stimolare, anche duramente se necessario, la classe politica d’un Paese, in vista del bene comune e della tutela dei poveri
Nunzio Galantino

Sono passati due anni e mezzo dalla elezione a vescovo di Roma di papa Francesco ed è in atto una profonda conversione della Chiesa, anche della Chiesa italiana, per un annuncio povero e libero del vangelo.

 

Una nuova stagione di parresia (di libertà di dire e di vivere tutto il vangelo) attraversa le nostre chiese. Due le questioni decisive: i migranti e la pace. Il papa  con l’omelia di Lampedusa ha indicato uno sguardo nuovo della Chiesa sul dolore della povera gente e poi progressivamente ha consegnato la parola della pace e del perdono, come declinazione disarmata del vangelo sine glossa.

 

Parole e azioni, azioni e parole, che il papa ha consegnato a tutte le chiese e a tutta la Chiesa. Il segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha assunto un ruolo decisivo in questo processo di esodo e di penitenza,di conversione e cambiamento.

 

Tutti abbiamo percepito un linguaggio nuovo, quello della profezia, non più quello della ipocrisia, che apparteneva al passato della Chiesa italiana, preoccupata più di principi e di disegni politici, piuttosto che della vita e della sofferenza degli ultimi.

 

Anche in queste ore si è scatenata una polemica nei confronti del segretario della Cei per la nettezza delle posizioni espresse. Molti hanno parlato di qualunquismo e di anti politica. Il profeta Ezechiele usa la formula degli intonacatori di mota, per indicare i falsi profeti, coloro che dicono il falso e non la verità della parola di Dio. E ancora, il profeta parla dei cattivi pastori, che distruggono il gregge, indicando comportamenti di governo che dimenticano le pecore ferite e abbandonate.

 

Non è un linguaggio qualunquista, quello di Galantino, al contrario è il linguaggio di Dio nei confronti di coloro che cercano il loro interesse e abbandonano il dolore dei piccoli… la forza della parola di Dio sta nel fatto che realizza ciò che annuncia, mentre il linguaggio del falso profeta dice parole che non avvengono, perché false, perché incapaci di narrare le sofferenze degli oppressi.

 

I falsi profeti, i cattivi pastori, sono qualunquisti, perchè usano la parola di Dio non secondo la verità dei poveri, ma secondo i loro piccoli e ondivaghi interessi quotidiani. In questi anni abbiamo visto e vediamo falsi profeti e cattivi pastori. Questo è avvenuto e avviene quando i vescovi cercano progetti culturali per il potere e non la parola della verità per il servizio al più piccolo dei fratelli. In questo senso le parole di don Nunzio sono un grido dalla parte dei poveri, a fronte della fatica e della lentezza di una nuova legislazione per i migranti, capace di cambiare una cultura della fortezza in una cultura dell’incontro e del dialogo.

 

Le singole espressioni possono essere sempre modificate, ma la sostanza della politica rimane intatta e sta nel rispondere con intelligenza e con forza alle attese della povera gente, come ricordava La Pira.  E oggi questo avviene con grandissima fatica e lentezza. Il rischio evidente è che questo paese perda l’anima. Perda la sua stella polare, che è la costituzione.

 

Nell’intervento di Trento, mons. Galantino si pone la questione degli eredi di De Gasperi, di donne e uomini politici, che ne hanno preso il testimone e per rispondere in modo convincente egli rinvia, facendolo suo, a quanto detto da Romano Prodi (dunque un altro leader politico di grande spessore) l’anno scorso in occasione della stessa ricorrenza: «la risposta non va cercata solo in un singolo individuo, ma nella forza delle idee. Alle quali si deve aggiungere la particolare capacità che un politico per essere qualificato come statista deve possedere: dire la verità alla propria gente; avere una visione coerente e competente della realtà, avere il senso supremo della responsabilità, al di là della propria convenienza di parte e della propria prospettiva personale; non vivere per sé stesso, ma per una prospettiva comune».

 

La vera notizia dell’intervento di Galantino non sta nella citazione dell’"harem di cooptati e furbi” come il distillato dell’antipolitica, ma nel riconoscere nella azione e nelle parole di Romano Prodi il punto di riferimento di una politica alta, che nasce dalla vita e dalla intelligenza di un cristiano adulto, secondo responsabilità e autonomia, che per questo ha sperimentato l’opposizione degli ecclesiastici dell’antipolitica, che non cercavano il bene comune, ma il proprio interesse politico,il proprio progetto culturale.

 

Dunque nessuna antipolitica, ma la ricerca di una grande politica per il nostro Paese e una nuova responsabilità della Chiesa perché il suo parlare “sia sì sì e no no e il resto viene dal maligno”.

 

La politica ridìa dignità ai migranti, anche con una nuova legge che tenga conto del cambiamento dei tempi, al dolore civile del nostro Paese, ai diritti sociali, ai disabili, facendo leggi serie e con copertura finanziaria. Il contrario di quanto fatto in questa estate. Non abbia paura delle sollecitazioni anche “ruvide” della comunità dei credenti. Sia capace di cambiare costantemente verso.

 

La Chiesa si riconosca protagonista di un tempo di conversione e penitenza  e cominci e vivere la gioia del vangelo con i poveri, con le vittime, con i migranti, e allora sperimenterà la gioia della comunione con tutti e non la tristezza delle piccole guerre interne e dei silenzi astuti che hanno il sapore della opposizione.

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