Nel marzo 2021 Facebook dichiarò di voler adottare una politica orientata alla valorizzazione dei diritti umani e di volere rendicontare annualmente i progressi delle proprie decisioni aziendali in merito a questo. Il motivo di questa attenzione si è capito pienamente solo pochi mesi dopo, quando il Wall Street Journal, sulla base delle dichiarazioni di Frances Haugen (ex dipendente Facebook), avviò un’inchiesta [1] sulle condizioni del più grande social network del mondo.
I risultati dell’indagine, pubblicati nel settembre dello stesso anno, portavano alla luce il “lato oscuro” del colosso del web, svelando pubblicamente cose note solo alla dirigenza o a pochi altri addetti ai lavori: dalla difficoltà nell’esercitare il controllo dei dati in proprio possesso; agli effetti collaterali (talvolta gravi, soprattutto fra i giovanissimi) innescati dalle tendenze che il social ha contribuito a diffondere tra i singoli e nella società; alle deboli o inadeguate reazioni seguite alle segnalazioni di abusi; e molto altro.
Tutti problemi noti da tempo, ma per i quali non è stato (e non è ancora) semplice attuare contromisure adeguate a gestire il traffico generato dai suoi 2,9 miliardi di utenti attivi.
Nell’ottobre 2021, appena dopo la pubblicazione dell’inchiesta del WSJ, Mark Zuckerberg ha varato un nuovo assetto societario fondando Meta, società alla quale fanno capo Facebook, Instagram, Messenger, WhatsApp e altre aziende attive nel campo dei media e dell’intrattenimento: una nuova forma organizzativa frutto del lavoro strategico degli ultimi anni, un impero colossale che ha ereditato altrettanto colossali responsabilità sociali, ma anche una mossa strategica che ha permesso la possibilità di un nuovo corso.
Alla luce di tutto questo, la recentissima pubblicazione (Luglio 2022) del primo report annuale sull’impegno di Meta nella salvaguardia dei diritti umani [2] appare come un manifesto programmatico: è la dichiarazione di responsabilità di un’azienda che si è posta esplicitamente come mission quella di (nientemeno) «dare alle persone il potere di costruire comunità e avvicinare fra loro gli angoli del mondo».
Un’intenzione da proiettare, in prospettiva futura, anche nelle tecnologie dei mondi virtuali su cui l’azienda ha investito miliardi [3]. Il report – un documento di 83 pagine che rendiconta l’operato di Meta (e delle sue aziende controllate) nell’arco temporale che va dal 01/01/2020 al 31/12/2021 – dichiara le intenzioni del colosso del web in materia di principi umani fondamentali e spiega come, nello sviluppo dei suoi prodotti e nelle decisioni aziendali, abbia lavorato per valorizzarli.
Principi che includono: il diritto alla libertà di espressione, il diritto alla privacy, il diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione, la protezione dei minori e altro ancora. Un report che si ispira alle linee contenute nei Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani [4], nei quali si chiarisce che le aziende – specialmente le più grandi e influenti – devono essere in grado di dimostrare di rispettare tali diritti e orientarsi verso di essi.
Se da una parte, con queste dichiarazioni, l’intento di Meta sembrerebbe più quello di riuscire a recuperare retroattivamente la reputazione persa negli ultimi tempi, dall’altra questa vicenda ci dà la prova che i social sono evoluti verso qualcosa che è più di un fenomeno di costume. Le dinamiche sociali che si formano in rete rispecchiano quelle presenti nella vita reale, saldano ulteriormente fra loro il mondo online e la nostra quotidianità, spingendo a trasferire regole dall’una all’altra parte.
Più in generale, il documento divulgato da Meta suggerisce due riflessioni. La prima: se ancora non ce ne fossimo accorti, i social network sono diventati così influenti e pervasivi da dover rendere conto della loro aderenza ai principi umani universali (e non solo alla tutela dell’ambiente, come in genere già fanno tutte le più grandi industrie del pianeta).
La seconda: le multinazionali dei social (e noi con loro) stanno prendendo coscienza del potere mediatico che è nelle loro mani e, fortunatamente, stanno pian piano mettendo in atto contromisure per imparare a gestirlo, tentando di orientare le loro strategie in direzione umanizzante. È un traguardo importante, che ci riguarda tutti e che almeno dichiara una presa di posizione in un cammino fatto di luci e ombre.
Per continuare a percorrere questa strada, comunque, occorrono regole: sono queste che – se messe davvero al servizio della libertà di ogni individuo – fanno di ogni gruppo una comunità.
Occorrerà dunque vedere come Meta gestirà, in particolare, il dialogo con le istituzioni, specialmente sul fronte della tutela della privacy: un campo in cui attualmente si scontrano gli interessi contrapposti di governi e aziende private, entrambi custodi dei nostri dati digitali. Il documento diffuso da Meta rappresenta comunque un primo fiducioso sforzo per prendere posizione di fronte ad un problema generale: garantire il mantenimento dei valori fondamentali anche nel mondo digitale. Ma da solo non basta.
Per continuare a muoverci in questa direzione occorre un impegno educativo più ampio: al tempo stesso collettivo e individuale, che inizia dal guardare dentro di sé per riscoprire valori vecchi e nuovi, a partire da quel principio responsabilità (per dirla con il filosofo Hans Jonas) che già alla fine degli anni ’70 del secolo scorso tentava di delineare un’etica globale per la civiltà tecnologica e invitava ad un comportamento compatibile con il mantenimento di una vita autenticamente umana.
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[1] Wall Street Journal – The facebook files. A Wall Street Journal investigation (2021)
[2] Meta – Meta Human Rights Report. Insights and actions 2020-2021 (July 2022)
[3] A. Galluzzi – I non-confini del metaverso in costruzione (16/03/2022)
[4] United Nations – Guiding Principles on Business and Human Rights (2011)
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