Preti pedofili. E ora?

Bufera mediatica sulla Chiesa. I dati reali del fenomeno, tra tolleranza zero e necessità di cambiamento.
Preti

«Ho perso la fiducia nei preti», «Ce l’ho con il papa», «Non credo più nella Chiesa». Non sono espressioni di anticlericali incalliti, ma di parrocchiani arrabbiati del centro Italia che frequentano la Chiesa e i sacramenti, riferitemi da un parroco. Sono scandalizzati e la pietra dello scandalo sono i preti pedofili, espressione che è ormai, purtroppo, divenuta gergale.

Se andate in Terra Santa, in alcune contrade di campagna si può ancora notare la pietra asinara che veniva spinta dall’asino per macinare il grano.

 

È una pietra pesantissima. Quando Gesù dice: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare…», vuol dire che la tolleranza zero è sempre esistita, almeno nel Vangelo. C’è una radicalità nelle parole di Gesù che riecheggia anche in quelle di papa Ratzinger. La lettera ai cattolici d’Irlanda è chiarissima e non lascia spazio ad alcun equivoco: «Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori – scrive il papa –. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti».

 

La tempesta mediatica

 

La tempesta mediatica in corso crea molta confusione nella gente facendo perdere di vista le proporzioni del fenomeno e i pochi fatti reali. Un recente rapporto governativo Usa, dove è nato lo scandalo dei preti pedofili, sostiene che, nel 2008, gli episodi che coinvolgono preti cattolici si stima siano lo 0,03 per cento sul totale degli abusi sui minori. Nel 2009, in un rapporto dei vescovi Usa si segnalano 6 casi su 65 milioni di cattolici americani. Non siamo allo zero assoluto, ma quasi. Il diluvio di parole e inchiostro, riversatoci addosso nelle ultime settimane, si riferisce quasi esclusivamente a casi pur sempre gravissimi, ma del passato.

 

«Si tratta di una campagna – scrive Luigi Accattoli su Liberal – che svolge un tema accusatorio a senso unico, rivangando il rivangabile e incolonnando uno sull’altro casi avvenuti in Paesi diversi e in più decenni». Si perde così la prospettiva temporale – casi lontanissimi negli anni appaiono simultanei –, sia quella spaziale – casi lontanissimi nella geografia appaiano invece compiuti in un solo luogo –. Tecnicamente si tratta di «panici morali», definiti come problemi «socialmente costruiti e caratterizzati da un’amplificazione sistematica di dati reali, sia nella rappresentazione mediatica, sia nella discussione politica». Ed è proprio a ciò che stiamo assistendo: una notizia sui preti pedofili al giorno, dati reali ma amplificati nelle dimensioni statistiche, fatti risalenti a molti anni fa presentati come nuovi.

 

Secondo lo studio indipendente della John Jay College of Criminal Justice di New York, dal 1950 al 2002, 4392 sacerdoti americani su 109 mila sono stati accusati di abusi su minori. I preti accusati di vera pedofilia sono 958, ma le condanne solo 54 in 52 anni. E negli ultimi dieci anni sono arrivate in Vaticano tremila accuse di abusi sessuali su minori rivolte a sacerdoti e religiosi per delitti commessi negli ultimi cinquanta anni. Dei tremila casi denunciati, il 20 per cento ha subìto un processo, in gran parte finiti con una condanna. Non molti, considerando i 400 mila sacerdoti di oggi nel mondo, ma sempre comunque troppi.

 

Interessi economici

 

Quali le ragioni allora di questa progressione straordinaria di scandali e notizie, di questa «onda anomala mediatica» che corre dall’Irlanda alla Germania e all’Austria, e ritorna agli Stati Uniti, risuonando su tutti i media mondiali, che d’altronde non finirà presto? Gli abusi sono reali e la gravità è fuori discussione; ma la campagna mediatica è gonfiata ad arte per una serie di interessi convergenti. Numerosi avvocati negli Usa hanno grandi interessi economici nell’affare; uno solo di loro, Jeff Anderson, con lo scandalo dei preti pedofili americani ci ha guadagnato 60 milioni di dollari. Le vendite dei giornali e l’audience televisiva, inoltre, crescono vertiginosamente per l’appeal che ha questo tipo di notizie. E il denaro non è di destra né di sinistra, né conservatore né liberal.

 

Il New York Times, ad esempio, è in crisi di vendite e la sua editorialista Maureen Dowd, che ha ricevuto la documentazione per i suoi articoli proprio dall’avvocato Anderson, martella il papa e la Chiesa anche per fini ideologici. È indicativa una frase nel suo editoriale del 7 aprile: «Preti sposati e laici che diano i sacramenti non distruggeranno la Chiesa (cattolica)». Che il celibato, che non ha nulla a che vedere direttamente con la pedofilia, sia una delle ultime frontiere da abbattere, insieme al papato?

 

L’astinenza sessuale, insomma, non sembra proprio essere la causa degli abusi. Un noto scienziato tedesco non credente ha affermato che «la possibilità che un prete commetta abusi è 36 volte minore rispetto ad un padre di famiglia». E, stando ai periodici rapporti del governo americano, «due terzi circa – scrive Massimo Introvigne su Avvenire – delle molestie sessuali su minori non vengono da estranei o da educatori, preti e pastori protestanti compresi, ma da familiari: patrigni, zii, cugini, fratelli e purtroppo anche genitori».

 

Tempo di verità

 

Numerosi commentatori intravedono in queste amplificazioni manovre di ambienti laici anzi laicisti contro la Chiesa. Anche fossero confermate le varie teorie del complotto, ciò che conta in fondo è che la bufera sia un tempo di purificazione salutare. «Conviene riflettere – scrive ancora Luigi Accattoli su Liberal – sull’utilità che può venire dalla verità dei fatti: che si conosca quanto è avvenuto e avviene, che vi sia riconoscimento dei tradimenti è un bene per la comunità della Chiesa». Purché i fatti siano veri.

 

È indubbio che alla comunità ecclesiale – sacerdoti e fedeli tutti – nell’attuale situazione sia lanciata la sfida di percorrere la via della testimonianza senza sconti e dell’autenticità evangelica, avendo cura di vivere quegli alti valori che propone. Dovrà anche crescere in capacità di autocritica e in trasparenza, e attrezzarsi – come in tanti casi sta facendo già da tempo – di procedimenti che offrano le necessarie garanzie. Pare infatti che, qua e là, in passato si sia considerata la pedofilia come una malattia curabile, mentre molti psichiatri oggi non la ritengono tale: «Di qui – scrive Franco Garelli su La Stampa – il trattare i casi affidandosi alla “buona volontà”, spostando i soggetti da un luogo all’altro, più che mettere in atto scelte ecclesiali più drastiche».

 

Nel dibattito restano sullo sfondo le vere questioni chiave e la sfida più vasta sulla selezione e formazione dei candidati al sacerdozio, tenendo presente che le sole misure disciplinari e organizzative rischiano di rimanere all’esterno della singola persona. Occorre interrogarsi su come formare in profondità un sacerdote e come aiutarlo, anche successivamente all’ordinazione, a non essere travolto dalla difficile società che lo circonda.

 

Sarebbe fatale se, in tempi di crescente penuria di vocazioni sacerdotali, nella scelta dei candidati al ministero si facessero larghe le maglie dei criteri di ammissione e si accogliessero, per necessità pastorali, uomini che la vocazione in realtà non ce l’hanno o persone di dubbia maturità affettiva.

 

I candidati al ministero devono saper convivere equilibratamente con l’elemento femminile, sapersi confrontare con i sentimenti, con relazioni di amicizie autentiche per acquisire un pieno controllo di sé. L’apporto delle donne è non di rado assente dai seminari, se non per cucinare e fare pulizie, in ruoli sempre subordinati e mai decisionali e anche formativi, come si auspicano invece i documenti sulla formazione. Né va trascurata la portata della lunga convivenza negli anni della formazione con soli coetanei maschi su giovani poco equilibrati psicologicamente.

 

Nella formazione va dato dunque un posto importante a un sano sviluppo psichico e relazionale. I sacerdoti, insomma, non sono degli uomini senza relazioni forti e appaganti. Chi ha lasciato tutto per seguire Dio e il Vangelo deve poter sperimentare che ne valeva la pena, che la sua vocazione ha un senso anche dal punto di vista affettivo e sperimentare, non per ultimo in piccole fraternità di sacerdoti, l’esperienza di Chiesa come «casa e scuola della comunione», per poter anche oggi gustare i frutti della presenza di Gesù: pace, gioia, luce, e sapienza, quelle che danno senso alla vita. Anche di un sacerdote.

Aurelio Molè

 

Pedofilia e morale

  

Il pedofilo in senso stretto è un soggetto umano piuttosto raro. In alcuni di questi casi si tratta di atteggiamenti in fondo omosessuali, in cui le dinamiche malsane sono dettate dalle tendenze predatorie del maschio aggressore, marcate dalla sua forza sessuale fortemente compulsiva. Nella maggior parte dei casi, invece, sembrano più frequenti gli abusi di bambine da parte di maschi adulti, non di rado parenti anche stretti.

 

La pedofilia in senso stretto deve essere trattata piuttosto come una malattia di tipo prevalentemente mentale. Il sesso gioca qui un ruolo importante, ma viene strumentalizzato da un bisogno patologico di esercitare dominio maschile, vissuto in maniera disintegrata e ossessiva da parte dell’aggressore. Posto così, il problema del pedofilo non si radicherebbe nella sua sessualità fisica, quanto nella sua mente. Tale morbosità si presenta ai vari professionisti come inguaribile. Mentre si potrebbe sperare di correggere qualcosa sulla base della recente decifrazione del genoma (aspetti fisico-biologici), se la questione è prevalentemente mentale, la prospettiva della guarigione si configura in modo seriamente imprevedibile.

 

Nel caso di preti pedofili, le autorità ecclesiastiche partono dalla valutazione perentoria da sempre presente nella morale cattolica: la pederastia attiva costituisce una gravissima offesa delle leggi divine e umane. Perciò la si definisce come peccato criminoso particolarmente aggravato e punibile dalle autorità competenti, ecclesiastiche e civili.

 

Dal punto di vista del perpetrante, se dovesse (o potesse) essere in pieno possesso delle sue facoltà umane, cioè della piena libertà e autoconsapevolezza “normale” dell’agire, tale comportamento cadrebbe sotto la categoria del peccato formale grave, e ne porterebbe tutte le conseguenze. Nel caso si trattasse davvero di una deficienza psichico-mentale insuperabile, avremmo a che fare con l’incapacità soggettiva reale di cogliere la gravità del reato, accompagnata dall’assenza di rimorsi, aggravata dalla perversione di valori, cioè dalla falsa percezione del bene al posto del male come presente in questo agire ripugnante.

 

In tal caso la valutazione morale poggia primariamente sull’aspetto materiale dell’atto e rimarrà comunque estremamente grave. L’offesa materiale, cioè il male inflitto alla vittima, è di proporzioni oggettivamente obbrobriose. Ciò impone la necessità di procedure e di legislazioni atte a definire l’inammissibilità di simili soggetti negli ambienti di prossimità delle potenziali vittime (scuole, collegi, associazioni di vario tipo).

 

L’oggettività del crimine rimane quindi indiscussa. È un abuso del bene di proporzioni spaventose. Gli effetti dannosi, inflitti dagli atti pedofili alle vittime indifese, situano queste tendenze tenebrose dei maschi adulti nella zona di chiaro antivalore umano, altamente nocivo. Oltre a qualificare il pedofilo come soggetto pericoloso, pregiudicano in modo inimmaginabile lo sviluppo umano integrale e sereno di chi, innocente, fiducioso e piccolo ancora, apre le braccia verso la figura che rappresenta un valore altissimo, quello di paternità. Tale valore nobile mentre nella normalità comunica amore, ispira fiducia e offre protezione, qui viene a tradire in un modo spesso irrecuperabile ciò che ci fa diventare umani maturi: la capacità di fidarci e di dare fiducia.

Andrzej S. Wodka

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