Il premier israeliano a Mosca

Speranze e considerazioni legate alla recente visita a Mosca del premier israeliano Naftali Bennett, ricevuto da Putin al Cremlino. In vista di una mediazione, forse, per arrivare ad un cessate il fuoco in Ucraina.
Naftali Bennet (AP Photo/Ariel Schalit)

Sabato scorso il premier israeliano Naftali Bennett è volato a Mosca per incontrare Putin. Sì, anche se era sabato, perchè la Torah stessa lo permette se può servire a salvare vite umane; e sì, Putin lo ha accolto, anche se all’Onu Israele ha votato a favore della risoluzione di condanna dell’invasione russa in Ucraina: Bennett è stato finora l’unico leader straniero ricevuto al Cremlino dopo l’inizio, il 24 febbraio scorso, dell’“Operazione speciale” (secondo Putin continua a non essere una guerra: e meno male, se no c’era da preoccuparsi!).

Perchè Naftali Bennett? Premesso che non si sa ovviamente il vero perchè e cosa si siano detti i due leader, in molti speriamo che sia anche per i buoni rapporti di Bennett con il presidente ucraino Zelensky, anche lui ebreo. Si sa che Israele mantiene molteplici e svariati rapporti con la Russia (compreso anche il permesso russo di effettuare voli militari sulla Siria), e il russo è una delle lingue più conosciute in Israele: circa 1 milione di ebrei israeliani sono di origine russa, e 250 mila di origine ucraina.

Ma non solo: la speranza di tanti, tenue ma reale, è che questa apertura di Putin iniziata con Bennett (di cui erano informati in anticipo anche Parigi, Berlino e Washington oltre a Zelensky) possa in qualche modo arrivare a coinvolgere anche Pechino. Il ministro degli esteri ucraino Kuleba ha chiesto al suo omologo cinese Wang Yi «una mediazione della parte cinese per realizzare il cessate il fuoco». E oltre ad aver dato una risposta prudente ma che pare positiva, Wang Yi è un abilissimo diplomatico.

L’azione della diplomazia internazionale, unica strada per sperare in qualcosa di concreto per fermare le armi, è anche più ampia, ma la pista “israeliana” e forse ancora di più quella “cinese” sembrano offrire qualche goccia di speranza in più. Per tornare al possibile ruolo di Bennett nella mediazione, c’è un altro importante motivo che spinge il premier israeliano (sollecitato anche dall’opinione pubblica) ad offrirsi come mediatore qualificato fra Mosca e Kiev: e questo motivo sono primariamente gli ebrei ucraini.

Secondo i media israeliani, l’argomento principale del colloquio di 3 ore fra Bennett e Putin è stata l’evacuazione degli israeliani (alcuni erano rimasti bloccati a Ulman) e delle comunità ebraiche presenti in Ucraina.

Già nei giorni precedenti all’invasione, l’ambasciata israeliana a Kiev aveva rivolto un appello a tutti gli ebrei ucraini (circa 75 mila) affinchè si registrassero presso l’ambasciata, per poterli contattare rapidamente in caso di emergenza e offrire loro la possibilità di rifugiarsi in Israele. Il governo israeliano si è impegnato a concedere loro la cittadinanza come olim, sulla base della Legge del Ritorno, che permette ad ogni ebreo che lo richiede, di qualsiasi parte del mondo, di diventare israeliano. L’impegno è comunque anche quello di accogliere non solo ebrei, ma anche goyim (non ebrei) ucraini che lo richiedano, nella misura del possibile. Sperando, aggiungo io, che la “collocazione” di questi rifugiati non sia a spese dei palestinesi dei Territori.

 

All’interno di una presenza ebraica notoriamente molto variegata per tradizioni e orientamenti, è importante ricordare che soprattutto in Ucraina ha avuto storicamente origine il movimento dei chassidim, una delle realtà culturali, oltre che religiose, più significative nel mondo ebraico europeo degli ultimi 3 secoli. I discendenti moderni dei rebbe e dei loro discepoli del XVIII secolo si sono diffusi, nonostante i Pogrom e la Shoah, in Israele, Canada, Usa e Australia, oltre che in Europa. Appaiono ad uno sguardo esterno molto curiosi e perfino “strani” con i loro colbacchi, soprabiti e cernecchi. L’orientamento è generalmente ortodosso e ultra-ortodosso, difficile da digerire per noi poveri goyim. Mai dire mai, però. La conoscenza e i rapporti possono rivelare sorprese positive, al di là delle apparenze.

Qualche nome di grandi personalità legate a questa realtà: i primi sono quelli del fondatore del chassidismo, il Ba’al Shem Tov (1698-1760), nato in Podolia (oggi Ucraina), e del suo pronipote, il grande rebbe Nachman di Breslov (1772-1810), sepolto a Ulman (270 Km a nord di Odessa), la cui tomba (recentemente bombardata) è meta ogni anno del pellegrinaggio di molte migliaia di ebrei ortodossi, soprattutto in occasione di Rosh Hashanah, il capodanno religioso ebraico.

Un altro nome illustre è quello di Martin Buber (1878-1965), il narratore di origine austriaca delle storie di grandi rebbe chassidici. E poi c’è uno straordinario artista, Marc Chagall (1887-1985), originario di Lëzna (oggi in Bielorussia), che in certo modo ha trasferito la “visione” chassidica nell’arte contemporanea.

Così recita una preghiera per la pace, molto attuale, attribuita a rebbe Nachman di Breslov: «Non siamo venuti in questo mondo per conflitto e contesa, né per odio, invidia, derisione o spargimento di sangue; siamo venuti in questo mondo solo per conoscerTi, che Tu sia benedetto per tutta l’eternità».

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