Prima di tutto la pace?

Alla vigilia del 21 settembre, giornata della pace promossa dall’Onu, si è arrivati ad un milione di vittime nel conflitto tra Russia e Ucraina. Risoluzione del parlamento europeo a favore dell’uso delle armi date a Kiev sul territorio russo. Voto contrario dell’Italia che resta tra i maggiori produttori di armi, con interessi da chiarire nel martoriato Medio Oriente. Domande aperte per un frastagliato movimento per la pace
Guerra. parata militare a Mosca EPA/YURI KOCHETKOV

Il dato è stato reso noto alla vigilia della giornata della pace promossa dall’Onu il 21 settembre di ogni anno. Secondo il Wall Street Journal si stima ad oggi un numero complessivo di un milione di vittime, tra morti e feriti, nel conflitto in corso tra Russia e Ucraina.

L’opinione pubblica mondiale ha vissuto in diretta il precipitare degli eventi con l’invasione del 24 febbraio 2022 decisa da Putin dopo il fallimento degli accordi di Minsk del 2014, con trattative fallite e tentativi estremi fino all’arrancare per Roma di un vecchio papa in visita irrituale all’ambasciatore di Mosca in Vaticano.

La strage annunciata è in atto e ha esiti imprevedibili, come dimostra la risoluzione approvata del Parlamento europeo del 19 settembre (377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti) che «invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali consegnate all’Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo». Il giorno prima, come riporta Rainews citando il Guardian, è avvenuto «uno dei più grandi attacchi all’arsenale militare di Mosca dall’inizio della guerra. L’attacco ucraino a un grande deposito russo di armi nella regione di Tver ha causato un’esplosione che è stata rilevata dalle stazioni di monitoraggio dei terremoti».

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito in ogni modo che «l’Italia non è in guerra contro la Russia», pur assicurando politicamente, finanziariamente e anche militarmente l’aiuto all’Ucraina. E perciò il ministro ha espresso il suo «no all’emendamento che prevede l’utilizzo delle armi al di fuori del territorio ucraino, in sintonia con quello che ha sempre deciso il governo. E in sintonia con le scelte del Consiglio affari esteri che non ha approvato la proposta di Borrell (tuttora “alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza”) di usare le armi fuori dal confine ucraino».  Il voto effettivo dei parlamentari italiani, a prescindere dalle dichiarazioni ufficiali, si è distribuito in maniera diversa anche sull’emendamento controverso, come riporta l’Ansa.

Nello stesso periodo l’Italia si è astenuta sulla risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’Onu che chiede la fine dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Una presa di posizione non vincolante ma dall’alto valore politico, considerando la contemporaneità della carneficina in corso a Gaza e le azioni realizzate all’estero con l’esplosione in Libano e Siria di cercapersone e ricetrasmittenti in uso a militanti di Hezbollah (cfr articolo Cantamessa su cittanuova.it). Centinaia di feriti e decine di morti che dimostrano, a prescindere dalle rivendicazioni ufficiali, la superiorità tecnologica di Israele, che non sembra temere l’espansione del conflitto nella regione medio orientale.

La risoluzione che chiede il ritiro entro 12 mesi dell’occupazione dei Territori palestinesi occupati ha ricevuto 124 voti, 14 quelli contrari e 43 gli astenuti. Tra i favorevoli, ad esempio, anche Belgio, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, mentre si sono astenute, per avere un’idea, Germania, Austria, Olanda, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Gli Stati Uniti hanno votato contro invitando gli alleati a fare lo stesso.

La tragedia dello scontro senza tregua tra Hamas e il governo israeliano pone in evidenza tante contraddizioni poco note nel dibattito pubblico ma che ci riguardano direttamente. Come riporta Milano Finanza, ad esempio, «il Dipartimento di Stato Usa ha già preso la decisione di approvare la possibile vendita a Tel Aviv di rimorchi per carri armati pesanti e relative attrezzature, per un costo stimato al momento in 164,6 milioni di dollari» affidando la commessa a Leonardo Drs, società di elettronica per la Difesa quotata al Nasdaq controllata da Leonardo Spa. Il 30% del capitale di questo attore principale della politica industriale del nostro Paese è in mano pubblica (ministero dell’Economia). Per tale motivo esistono vincoli costituzionali e la legge 185/90 ancora in vigore che rappresentano un ostacolo da far valere in questa fornitura di armi destinata all’esercito israeliano.

Ma, contrariamente alla tradizionale rappresentazione di un’opinione pubblica contraria alla guerra, si può registrare un cambiamento progressivo di mentalità favorito dalle tesi riportate su più fonti sulla necessità del riarmo che fa superare dubbi e perplessità; come dimostra il voto del Parlamento europeo, specchio fedele della maggioranza espressa dalla coalizione guidata da Ursula von der Leyen.

Sono decisamente minoritarie le posizioni espresse da Marco Tarquinio all’interno del gruppo dei socialisti e democratici europei, oltre che dello stesso Pd. L’ex ministro della Difesa, il dem Lorenzo Guerini, ora nel ruolo chiave di presidente del Copasir, è apertamente critico verso le riserve del governo di destra sull’uso di armi in territorio russo. A dire il vero la Meloni ha precisato, durante la conferenza stampa con il premier britannico, il laburista Starmer, di essere personalmente favorevole a tale utilizzo di armi occidentali in territorio russo, ma si è detta legata ai limiti di carattere normativo vigenti nel nostro Paese.

È in tale quadro che si svolge la giornata Onu del 21 settembre. Ad Assisi la Tavola della Pace ha convocato una breve marcia che non ha un obiettivo prefissato se non quello di «dare corpo ad una nuova visione e progettualità politica di pace» e di riflettere su alcune domande di fondo come questa: «Come si fa ad impegnarsi per la pace mentre crescono il senso di impotenza e il disinteresse per la vita attiva e la partecipazione politica?».

Sono previsti interventi di testimoni di impegno solidale, amministratori locali, politici e rappresentanti di alcune associazioni che non esprimono tutto il vasto e frastagliato movimento per la pace che ha forme molto diverse di analisi e proposte.

Anche il termine “pacifista” viene percepito come un limite, in un tempo in cui cadono nel vuoto le forme tradizionali di manifestazioni pubbliche assieme agli appelli ragionevoli, precisi e argomentati ma destinati a restare senza risposta.

Espressioni di un cambiamento d’epoca in atto.

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