Digiunare per la pace

Il senso profondo di una scelta condivisa da una rete sociale diffusa in Italia, e non solo, davanti all’orrore senza senso della guerra. Un gesto di cui va dato ragione come condivisione del dolore, segno di solidarietà e attesa vigile del cambiamento profondo necessario per costruite la pace

Nel pianeta si aggrava un’escalation bellica che lascia senza respiro per l’insipienza dei programmi di riarmo, per la spudoratezza della propaganda guerrafondaia, per l’irresponsabilità con cui vengono usate parole arcaiche − non le avevamo archiviate? − come “annientamento del nemico” o “deterrenza nucleare”.

E a noi, a noi cittadini sovrani in questo piccolo mondo, che resta ancora da dire e da fare di sensato per la sua sopravvivenza? A chi rivolgere il nostro ormai martellante “cessate il fuoco”? L’Onu stessa sembra arresa all’evidenza di un diritto internazionale − che è “diritto alla pace” − praticamente contraddetto da quotidiane esibizioni di solitaria prepotenza e dunque che il suo compito si vada esaurendo.

Alcuni hanno deciso di ricorrere anch’essi ad una parola arcaica: “Digiuno”. Nelle loro reti social di quest’arma vanno parlando. Sì: digiunare… e parlare. Per quanto l’idea possa apparire risibile, come gli assalti dei lillipuziani al gigante Gulliver, siamo invitati a provare. A mali estremi, estremi rimedi. Provando, aderendo alla “staffetta del digiuno” promossa e diffusa in varie città da una rete di numerose realtà come, ad esempio il Centro Pace di Rovereto, mi sono convinta che è sicuramente questa una delle strade da intraprendere. Se non altro per non disperare. Se non altro per tornare a respirare nonostante l’aria bellicista che tira. Se non altro per incontrare gente vaccinata contro la risorta fobia del nemico.

Digiunare non contro, ma per. Per vicinanza a quanti oggi se la passano male tra le macerie delle loro case, privati scientemente anche dell’accesso agli aiuti umanitari. Per pagare con una dose di fame il personale tratto di cammino verso la pace. Per vivere con meno, e rispondere con la sobrietà a quanti ci vorrebbero arruolati perché spaventati di perdere qualcosa.

Per metterci la faccia: “Non nel mio nome”.

Sì, perché oltre a digiunare occorre parlare e spiegare: «No grazie (al bar, alla mensa, alla cena di compleanno), oggi digiuno per la pace».

I promotori della “staffetta del digiuno” collegano questi digiunatori attorno ad un appello e ad un calendario, dando forma ad una organizzazione leggera e tenace che consente di sentirsi sempre uniti e solidali con chi la guerra la patisce.

Poco? Pochissimo! Ma tanto se moltiplicato per quanti vi aderiscono! Gandhi così, in modo nonviolento, ha sconfitto un impero. Digiunare è dire da che parte si sta. Oggi con questa scelta ci si mette dalla parte delle vittime, di chi patisce la fame nella guerra, perché nessuno ci debba più stare.

Dirlo. Perché tanti digiunano, per via della salute o della dieta: «No grazie, oggi digiuno. Lo faccio per la pace. Vuoi farlo anche tu?».

Non interrompiamo la staffetta. Per quanto tempo? Se qualcuno bombarda “ad oltranza”, noi non possiamo che digiunare − un giorno a settimana − “ad oltranza”.

Scegliamo i modi del digiuno che ci si addicono, magari quelli che la nostra tradizione conosce: 24 ore senza cibo, oppure dall’alba al tramonto senza mangiare né bere, oppure solo pane ed acqua. Quel modo che ci permetta di soffrire con tanti, senza smettere di lavorare, e con il volto contento, come insegna il Vangelo: «Quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia» (Mt 6, 17).

In chi digiuna c’è amore, non timore.

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