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Prada e le chappal di Kolhapur

di Roberto Catalano

- Fonte: Città Nuova

Cosa hanno in comune delle tipiche ciabatte del Maharashtra e la nota casa di moda? Recentemente non sono mancate le polemiche quando alcuni modelli, in occasione delle sfilate di Prada, hanno percorso la passerella con le famose ciabatte indiane: le kholapuri, note anche come Kholapur chappal

Prada, uomo primavera-estate 2026, Milan Fashion Week. ANSA / MATTEO BAZZI

Senza dubbio, i ciabattini specializzati nella produzione di kholapuri mai avrebbero pensato che i loro prodotti – o gli adattamenti che si ispirano ad essi – avrebbero calcato i corridoi della miliardaria moda che conta. Per chi le ha provate, le kholapuri sono delle ciabatte leggerissime, ma inizialmente molto rigide perché fatte con pelle conciata che si allenta solo con il tempo. La loro caratteristica precipua è l’utilizzo di prodotti conciati in modo naturale – pullulano anche quelle di plastica ovviamente – e, in secondo luogo, i due anelli in cui infilare gli alluci. Questi due elementi rendono le ciabatte assai dolorose nei primi giorni: il piede si deve adattare e, soprattutto, lo devono fare i due alluci. Tuttavia, col trascorrere dei giorni e l’allentarsi delle varie parti, diventano di grande comodità, anche grazie alla loro leggerezza e naturalezza.

Prada, uomo primavera estate 2026, Milan Fashion Week
ANSA / MATTEO BAZZI

La questione che la proposta Prada ha suscitato è legata sia all’appropriazione di un brevetto sia alla differenza di costo dei due prodotti. Un utente indiano ha scritto su X: «Prada vende le Kolhapuri chappal a 1,2 lakh (120 mila rupie). Queste scarpe, parte del patrimonio del Maharashtra, si trovano nei mercati di Kolhapur per 300-1500 rupie. Prada ci mette il logo, le chiama “sandali in pelle” e cancella le loro radici culturali. Non è lusso, è furto».

Non è la prima volta, che elementi del vestiario tipico dell’India – soprattutto dei suoi villaggi – sfonda sul mercato della moda internazionale. C’è chi, in questi giorni, per puntiglio nazionalista ha messo in evidenza come si tratti solo di uno di una lunga lista di eventi della moda in cui l’Occidente ha silenziosamente preso in prestito, e talvolta palesemente copiato, le tradizioni indiane. Già Jean Paul Gaultier aveva instaurato una vera e propria storia d’amore con il subcontinente indiano: nel 2017, le sue modelle sfilavano in passerella con completi ispirati ai sari, mentre qualche anno prima aveva suggerito modelli con turbante, che ricordavano quelli del Rajasthan o dei sikh del Punjab. Nel 2013 qualcuno aveva ribattezzato la sfilata di Gaultier come “Bollywood [la famosa industria cinematografica di Mumbai] che incontra la settimana della moda di Parigi”. Nel 2011, per la sfilata pre-fall, Karl Lagerfeld aveva trasformato il Grand Palais di Parigi in uno scintillante palazzo indiano, dal quale emergevano modelle in abiti drappeggiati come sari elegantissimi e grondanti gioielli oversize. Ed era stato soprattutto l’oro a farla da protagonista. In questi percorsi, non manca neppure – è storia di pochi mesi fa – Louis Vuitton, che nella sfilata Uomo Autunno-Inverno 2025 ha presentato modelli ispirati alla kurta e giacche con collo nehru. Nel 2023, aveva fatto scalpore Dior che aveva ospitato una grande sfilata pre-autunnale a Mumbai, collaborando con gli artigiani dell’atelier Chanakya e mettendo in mostra ricami indiani. È stata una rara occasione in cui l’artigianato indiano non è stato solo dietro le quinte, ma in primo piano.

L’Occidente è da sempre affascinato dall’India e dai suoi prodotti e il vestiario rappresenta uno degli elementi che più hanno sollecitato l’immaginario occidentale, dando vita negli ultimi decenni a esempi di modelli fusion davvero attraenti, che cercano di coniugare l’inventiva del sub-continente alle esigenze e ai gusti dell’occidente. L’India, in effetti, vanta secoli di storia tessile, tecniche come la stampa a blocchi, lo zardozi e la tessitura a telaio manuale, visivamente ricche e incredibilmente versatili. Tuttavia, la polemica nasce quando queste tradizioni indiane vengono riproposte, e soprattutto vendute, a prezzi esorbitanti senza rendere onore alle loro origini e ai veri artefici, che continuano quasi sempre a vivere in condizioni di povertà assoluta.

E per finire un po’ di storia per rendersi conto delle origini delle Kholapur chappal che da secoli hanno calzato piedi induriti dalla polvere e, nella stagione dei monsoni, impastati di fango. E che oggi calcano ben altre superfici e portano in giro ben altri piedi. Le Kolhapuri chappal risalgono al XII secolo, durante il regno di re Bijjal, a Bidar (nello stato del Karnataka). All’epoca, il primo ministro del regno, Vishwaguru Basavanna, tentò di realizzare una società senza caste e di migliorare le condizioni di vita della comunità dei calzolai. Il termine “kolhapuri” emerse invece soltanto all’inizio del XX secolo, quando quelle calzature iniziarono ad essere commercializzate a Kolhapur, nello Stato del Maharashtra.

In una recente intervista concessa al settimanale India Today, Rahul Parasu Kamble, proprietario del marchio Shopkop, che realizza kolhapuri, ha spiegato il processo di produzione di queste ciabatte. «Il processo naturale inizia con il trattamento della pelle animale, che richiede circa 3-4 mesi. Con questo metodo non vengono utilizzati prodotti chimici, solo una concia vegetale ricavata da alberi, foglie, ecc. Il risultato è una pelle morbida e resistente». Esiste anche un metodo chimico più veloce che richiede solo 10-15 giorni, ma la qualità è inferiore e può causare effetti collaterali come prurito e allergie. La pelle lavorata a mano è significativamente più costosa delle altre tipologie e trattamenti. Tuttavia, solo la pelle lavorata a mano è quella vera di Kolhapur. «Ogni fase – prosegue Kamble – è affidata a persone diverse: taglio, pressatura (a mano), cucitura e intreccio. Le artigiane si occupano principalmente dell’intreccio complicato che va a comporre la tomaia, come piccole trecce. Dall’inizio alla fine, ci vogliono dai 10 ai 15 giorni, coinvolgendo dalle 4 alle 5 persone per ciascun paio, di solito appartenenti alla stessa famiglia di artigiani».

Comunque, forse, questa volta la controversia arriva ad un lieto fine. La casa di moda di lusso Prada ha ufficialmente confermato, in una lettera inviata alla Camera di commercio, industria e agricoltura dello Stato del Maharashtra (Maccia), che i sandali presentati alla recente sfilata di moda uomo, che mostravano una sorprendente somiglianza con i tradizionali sandali indiani kolhapuri, erano effettivamente ispirati all’iconica calzatura.

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