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Firme > Penultima fermata

La rivoluzione, stando seduti.

di Elena Granata

Panchine dove non ci si può sdraiare, panchine senza schienale per sedute fugaci, panchine di pietra incandescenti al sole estivo, panchine dove ci si può solamente appoggiare, panchine scomode, panchine anti-senza fissa dimora, panchine giganti che servono solo per bellezza, panchine monoposto per anime solitarie, panchine in marmo con separatore in ferro: osservare le panchine nelle nostre città e paesi è un esercizio utile per capire quanto la presenza delle persone nello spazio pubblico sia diventato un problema.

Molte città si stanno dotando di un’architettura ostile (o difensiva), studiata per inibire la presenza delle persone nello spazio pubblico.

È la stessa vita pulsante della città a suscitare un istinto di controllo in certe componenti politiche e su alcune fasce della popolazione. Il bestiario degli spazi si arricchisce anno dopo anno: panchine con braccioli in mezzo che impediscono di potersi sdraiare, spunzoni anti-seduta disposti sulle soglie delle vetrine, spunzoni anti-skateboard, dissuasori ultrasonici che emettono un sibilo disturbante e percepibile solo dai ragazzi più giovani. In Francia li chiamano “arredi disciplinanti”, quelle soluzioni capaci di determinare i comportamenti delle persone negli spazi collettivi.

In nome del controllo e di una presunta maggiore sicurezza degli spazi si snatura uno dei caratteri più forti dell’identità delle nostre città: la capacità di accogliere, di mescolare le differenze, di integrare la varietà delle persone, persino di sostare nello spazio pubblico e di incontrarsi.

Siamo diventati esperti persino ad usare l’illuminazione per scoraggiare gli assembramenti di adolescenti: un’illuminazione rosa accentua i difetti fisici come l’acne, dissuadendo così gli incontri ravvicinati, com’è accaduto nella città inglese di Mansfield.

La luce blu è stata invece scelta nei bagni pubblici della capitale olandese L’Aia per rendere più difficile ai tossicodipendenti trovare le vene. Tutti piccoli ma diabolici dispositivi che Selena Savic definisce “design del fastidio” (Unpleasant Design, 2013), per cui non servono più neppure divieti e costrizioni, bastano sofisticati messaggi subliminali. Città un tempo note per la loro attitudine all’accoglienza oggi attrezzano gli spazi pubblici con dispositivi di controllo e dissuasori di comportamenti sociali. È vietato sedersi persino nelle cattedrali, soprattutto nelle città turistiche, dove l’accesso è quasi sempre a pagamento o sulle scalinate storiche di molte città italiane o davanti alla Cattedrale.

Talvolta, persino stare in piedi per troppo tempo, fermi, senza un evidente scopo, può venire percepito come una minaccia all’ordine pubblico. Questa sistematica contrazione degli spazi in comune riduce le occasioni che ci fanno sentire parte di una comunità.

Ecco perché oggi anche progettando panchine possiamo fare la rivoluzione

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