Siamo abituati a pensare ai medici come missionari votati al proprio mestiere, capaci di resistere a ogni forma di stress e disagio. Ma dimentichiamo quanto contino, oltre ai tempi di lavoro, anche gli spazi in cui operano. Mi è capitato recentemente di tenere una lezione al Policlinico Gemelli di Roma, proprio ispirata dal titolo di questo pezzo. Lì ho toccato con mano quanto sia importante, per medici e infermieri, riflettere sui luoghi della cura.
«Perché i pazienti prima o poi tornano a casa, ma noi in ospedale ci rientriamo ogni mattina», mi ha confidato una di loro.
Chiunque abbia frequentato ospedali e ambulatori sa bene quanto spesso – salvo rare eccezioni – le sale d’attesa siano anguste e buie, le pareti spoglie, le sedute scomode. I sotterranei dedicati alla diagnostica, poi, sono sovente ambienti alienanti: grandi stanzoni anonimi pensati solo per ospitare macchinari. Capita, per fortuna, che qualche caposala creativo riesca ad allestire piccoli spazi di tregua, dove il personale può prendersi un caffè, scambiare due parole con i colleghi, tirare il fiato tra un intervento e l’altro.
Mi colpisce pensare a quanta attenzione dedichiamo oggi al benessere aziendale in tante professioni, e quanto poca ne riserviamo a chi ogni giorno si prende cura di chi soffre. La qualità degli spazi ospedalieri – l’attenzione alle luci, alle sale d’attesa, all’accoglienza dei pronto soccorso – non influenza solo l’esperienza di chi è malato, ma incide in modo profondo anche sulla qualità di vita di chi cura. «Avremmo tanto bisogno anche noi di una palestra – mi confida una fisioterapista –.
Di uno spazio per prenderci cura della nostra salute». «Quanto ho sognato un parrucchiere in ospedale!», aggiunge sorridendo una chirurga; turni massacranti e orari impossibili spesso rendono difficile anche solo prendersi un momento per sé. I dati sulla violenza verso il personale sanitario – soprattutto verso gli infermieri – sono allarmanti e indicano un aumento di conflitti proprio nelle aree di attesa: luoghi in cui i medici, oltre a occuparsi della salute dei pazienti, devono spesso gestire anche l’aggressività di parenti e accompagnatori.
Ecco perché dobbiamo cominciare a progettare ospedali che parlino di benessere, non solo di efficienza. Ridurre lo stress da attesa, lavorare su elementi di distrazione positiva, introdurre musica di sottofondo, modulare la luce per favorire il relax, progettare spazi belli, accoglienti e funzionali, migliorare la comunicazione con segnaletica chiara e monitor interattivi, sono strumenti che possono fare la differenza. La tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale possono aiutarci a creare ambienti immersivi, capaci di trasmettere pace. E la natura – piante, giardini, materiali naturali – dovrebbe diventare parte integrante dei nostri ospedali. La cura degli spazi è, a tutti gli effetti, parte della cura delle persone.