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Persona e famiglia > #Felicemente

Pensare positivo anche nelle situazioni difficili

di Benedetta Ionata

- Fonte: Città Nuova

Quando ci succede qualcosa di doloroso, anche se non possiamo cambiare ciò che è accaduto, possiamo decidere come reagire

Una mano che porge un germoglio, foto Unsplash.

Lungo tutta la nostra esistenza ci viene richiesto, dalla società e dal mondo intorno a noi, di potenziare o sviluppare determinate abilità ai fini della nostra sopravvivenza. Però quando si parla di dover sopravvivere alle atrocità del nostro mondo, che spesso può apparire crudele, bisogna mettere in atto una abilità che non dipende dalla forza fisica, dalla gioventù o da abilità particolari, ma dalla forza che deriva dal trovare un significato a ogni esperienza.

Scegliere di trovare sempre qualcosa di positivo e concentrarsi su quello non è un modo per spingersi ad andare avanti. Ma è davvero possibile – potreste chiedermi – pensare positivo davanti a situazioni chiaramente sgradevoli?

L’ottimismo di cui parliamo non consiste nel credere a oltranza nell’infantile e insostenibile consolazione del credere che “non è successo nulla” oppure “non c’è male che non si tramuti in bene”. Sarebbe bello poter negare gli orrori inutili delle guerre e tutte le ingiustizie e le disuguaglianze del mondo, ma purtroppo non è possibile.

Piuttosto ha senso pensare positivo quando il dolore è inevitabile e possiamo scegliere come rispondere, anche se non possiamo cambiare ciò che è successo, oppure vedendo il dolore e chiedendosi “È dura. Fa male. Ma ora che ho guardato in faccia il dolore, posso chiedermi: e adesso cosa faccio?”.

Questo ce lo insegnava già Viktor Frankl, inventore della Logoterapia, quando sosteneva che l’uomo ha una spinta primaria, un desiderio innato, di trovare uno scopo e un significato nella propria vita, anche in situazioni avverse. Lui stesso sopravvisse ai lager nazisti e fece della sua esperienza un modello di questa libertà interiore.

Alcuni accusano chi ha questo atteggiamento di illudersi per essere felici, ma credo che non ne abbiano capito il vero senso. Cercare l’elemento positivo in ogni situazione negativa, sviluppare un atteggiamento costruttivo di fronte a ciò che succede non è qualcosa che si decide e si ottiene in un istante, è più che altro uno strumento che si sceglie e che bisogna allenare.

Lo psichiatra Carl Gustav Jung riteneva che coloro che non imparano nulla dalle disgrazie della vita, costringono la coscienza cosmica a riprodurre fatti simili, perché possano interiorizzare quello che avrebbero dovuto apprendere la prima volta che è accaduto loro.

Per quanto questo pensiero di Jung possa essere condiviso o meno, in linea di massima, credo, è giusto pensare che ci sia sempre qualcosa da imparare in ogni episodio della nostra vita. Che poi grazie a questi apprendimenti si cresca, e dopo questa crescita si può insegnare agli altri e si diventa più forti.

Una forza che è diventata tale grazie alla presenza di pazienza e accettazione, due componenti importanti che ci aiutano a non aver fretta di cambiare.

Spesso, tuttavia, rispondere in maniera onesta e sincera ci sembra impossibile quando ci sentiamo accusati dagli altri oppure subiamo un danno. A questo proposito la filosofia orientale insegna quanto sia indispensabile coltivare la disponibilità e l’accoglienza se si vuole che l’odio e la competizione non ci allontanino dal nostro cammino.

Ebbene sì, la filosofia orientale utilizza proprio la parola “coltivare”, e non è un caso, perché vuole passare l’idea che, fin dall’inizio, ci sia uno sviluppo e non una semplice acquisizione.

Ma attenzione, queste risorse per poterci davvero aiutare devono essere sviluppate prima del momento del bisogno. Infatti, come dice l’antica parabola Zen: «Un albero con radici forti può resistere a una tormenta molto violenta, ma nessun albero può cominciare a sviluppare queste radici proprio quando la tormenta appare all’orizzonte».

L’educazione tradizionale non garantisce né fornisce un antidoto per l’impazienza o il disaccordo perché, nella nostra cultura, la tolleranza sembra trasmettere passività ed è interpretata come un’espressione della debolezza, anche se tutti possiamo vedere chiaramente che è il principale segnale di forza.

Rispondere a una situazione difficile con moderazione e mantenere la propria rotta nonostante l’odio o l’aggressione dall’esterno presuppone una mente forte e disciplinata, una persona i cui valori stabiliscano le priorità, le cui decisioni presuppongano sempre un “muoversi verso” la scelta fatta, invece di cercare soltanto di allontanarsi dall’indesiderabile.

 

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