Pena e giustizia nel caso Riina

Una questione scottante che interpella i familiari delle vittime di mafia, la politica e i magistrati. Cosa ha detto la Cassazione a proposito dello stato di detenzione in carcere del boss mafioso condannato a diversi ergastoli. Il dibattito in corso
archivio ANSA

Sta suscitando non poche polemiche la recente sentenza della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione che si è soffermata sulle condizioni di detenzione di Totò Riina, boss mafioso condannato a diversi ergastoli, ed in carcere da 24 anni.

 

Anche la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosi Bindi, ha fatto un sopralluogo il 13 giugno nell’ospedale maggiore di Parma, dove Riina è ricoverato in regime di 41bis, affermando che «viste le condizioni fisiche di Riina, sì imprevedibili ma al momento stabili, si potrebbe anche ipotizzare in futuro un rientro in carcere, dove comunque le condizioni sarebbero adeguate, identiche se non superiori a quelle di cui potrebbe godere in un regime di domiciliari. Questo gli consente lo svolgimento di una vita dignitosa, e di una morte, quando essa avverrà, altrettanto dignitosa».

 

Cerchiamo di inquadrare il caso registrando alcune  prese di posizione del dibattito in corso.

Di cosa parliamo

Totò Riina, giunto all’età di 86 anni e malato,  nel 2016 ha presentato un’istanza al tribunale di sorveglianza di Bologna (dal 2013 è detenuto a Parma) con cui ha chiesto la sospensione della pena o almeno gli arresti domiciliari. Il tribunale di Bologna non ha accolto la richiesta. La prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza numero 27766, ha risposto invece annullando con rinvio l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Bologna.

Il tribunale di sorveglianza di Bologna nel maggio del 2016 aveva negato il differimento della pena per Totò Riina, sostenendo che le gravi condizioni di salute del condannato, che comunque risultavano dalle relazioni sanitarie, non erano tali da rendere inefficace un intervento in ambiente carcerario. Nel provvedimento si leggeva che il «continuo monitoraggio»  di Riina aveva già portato a diversi suoi ricoveri in ospedale. Gli episodi di crisi cardiaca di Riina erano sotto controllo in carcere e «lo stato di detenzione nulla aggiungeva alla sofferenza della patologia, essendo il rischio dell’esito infausto pari e comune a quello di ogni altro cittadino, anche in stato di libertà». Infine il tribunale di sorveglianza motivava il rigetto dell’istanza adducendo la notevole pericolosità di Riina e le esigenze di sicurezza e incolumità pubblica.

La Cassazione ha valutato «carenti» e «contraddittorie» le  motivazioni del tribunale di sorveglianza di Bologna.  Il solo fatto che il detenuto sia continuamente monitorato a causa della sua patologia cardiaca, che implica un pericolo per la sua vita, non giustifica – a parere della Suprema Corte – il rifiuto del differimento della pena e non dimostra la compatibilità delle condizioni di salute di Riina con il regime carcerario: la motivazione del tribunale di sorveglianza è dunque carente laddove nel decidere il differimento della pena non considera lo stato di salute generale del ricorrente. Nel caso di Riina va dunque tenuto conto della sua età, della duplice neoplasia renale di cui soffre, di una situazione neurologica compromessa, del fatto che non riesca nemmeno a mettersi seduto da solo.

Per la Cassazione bisogna sempre tener presente che mantenere una persona in carcere nonostante il decadimento fisico può essere contrario al senso di umanità e dignità prescritti dalla Costituzione e potrebbe risolversi in una detenzione inumana, vietata anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Contraddizioni evidenti nel provvedimento del tribunale di sorveglianza si ravvisano poi, a parere della Cassazione, nel punto in cui il tribunale da una parte afferma la compatibilità dello stato di detenzione di Riina con il regime carcerario e dall’altra «evidenzia espressamente le deficienze strutturali della Casa di reclusione di Parma», dove Riina si trova, affermando che queste stesse deficienze sono però irrilevanti. E’ lo stesso tribunale, in particolare, ad evidenziare che la necessità del condannato di avere a disposizione un particolare letto rialzabile non può essere soddisfatta a causa delle ristrette dimensioni della camera di detenzione.

Per la Cassazione, infine la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna non spiega «con motivazione adeguata» come la pericolosità di Riina e «il suo indiscusso spessore criminale», che vengono riaffermati, possano e debbano considerarsi attuali «in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato del decadimento dello stesso». La Cassazione conclude che le eccezionali condizioni di pericolosità di Riina debbano essere basate «su precisi argomenti di fatto rapportati all’attuale capacità del soggetto di compiere, nonostante lo stato di decozione in cui versa, azioni idonee in concreto ad interagire il pericolo di recidivanza».

 

Cosa ha detto la Cassazione?  

La Cassazione ha dunque annullato l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Bologna con rinvio: questo non significa che per Riina sia stato deciso un differimento della pena ma che la decisione finale non è ancora stata presa, ma che il tribunale di Bologna dovrà verificare di nuovo, motivando adeguatamente, l’eventuale compatibilità delle condizioni generali di salute di Riina con la detenzione carceraria. E dovrà farlo tenendo conto, nei confronti di Riina, del rispetto dei criteri ribaditi dalla Suprema Corte e dei principi stabiliti dalla Costituzione.

Le reazioni

Il provvedimento della Cassazione, com’era prevedibile, ha suscitato in pari misura sia polemiche che apprezzamenti.

La presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi ritiene “un cedimento dello Stato” l’eventuale concessione dei domiciliari a Riina, mentre il leader della Lega Matteo Salvini, attraverso un video pubblicato sulla sua pagina Facebook dichiara che “deve marcire in galera”, chi «ha ammazzato donne e bambini non deve rivedere da vivo la luce del sole» e ribadendo che non è il caso di tirare in ballo discorsi sui « diritti umani, la sensibilità , la pietà». Tra coloro che sono assolutamente contrari a un’eventuale scarcerazione del boss c’è Giorgia Meloni: “Totò Riina è un assassino, paghi sino alla fine”. Per Grillo “come tutti i boss della mafia deve restare in carcere”.

Ma la critica più aspra arriva dai familiari delle vittime della mafia. Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari dei Georgofili, definisce “ignobile” l’idea di concedere gli arresti domiciliari. E anche Salvatore Borsellino non ha dubbi: far uscire dal carcere Riina equivarrebbe a “una resa dello Stato di fronte a un criminale che gli ha dichiarato guerra”, e sarebbe come uccidere una seconda volta suo fratello Paolo, morto nella strage di via D’Amelio.

A rendere assolutamente giustificabili le critiche contribuisce, per il resto, il fatto che attualmente a Riina è garantita un’ottima assistenza sanitaria, visto che è ricoverato presso l’ospedale di Parma che, è risaputo,  è un eccellenza della cura in Italia.

Numerose sono state anche le dichiarazioni di apprezzamento del provvedimento. Per il vice presidente della Camera Roberto Giachetti un Paese democratico “punisce, non si vendica”. Con la Cassazione si schiera anche il presidente della Regione Lombardia , Roberto Maroni: «Non sono d’accordo con chi dice che deve morire in carcere perché Riina è Riina. Lo conosciamo bene, è il boss dei boss, però c’è un livello di umanità che deve prevale quando uno sta per morire».

Autorevole condivisione della decisione adottata dalla Cassazione, infine, arriva dall’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.). Il fatto che la Cassazione ponga una questione umanitaria «rispetto a un soggetto che ha dimostrato con la sua condotta criminale il massimo della disumanità rende quasi orgogliosi di una giustizia che riesce a ragionare in termini di diritti nei confronti di chi ha negato diritti agli altri». Così si è espresso il presidente dell’ Associazione nazionale magistrati, Eugenio Albamonte, che difende la decisione della Cassazione, che continua a suscitare polemiche per quel richiamo al «diritto a morire dignitosamente valevole per tutti i detenuti, anche per Riina che sta scontando 17 ergastoli». Per chi scrive, da giurista e da uomo, difficile non condividere.

Occorre ribadire, infine, che la Cassazione è stata chiamata a decidere sulla compatibilità della detenzione in carcere (e non con la permanenza in ospedale di Parma) con lo stato generale di salute. Non dimentichiamo che Riina è detenuto in carcere ed il fatto che trascorra periodi più o meno lunghi presso l’Ospedale di Parma è eccezionale e legato, di volta in volta, all’aggravarsi del suo stato di salute.

La  Cassazione non ha detto che Riina deve essere scarcerato ma che il tribunale di Bologna deve adeguatamente motivare i motivi del rigetto dell’istanza sotto il profilo dell’incompatibilità della detenzione con il suo stato di salute e  della sua pericolosità sociale.

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