«Passavamo di sorpresa in sorpresa». Chiara e l’unione con Dio

Conversare con Giulia Eli Folonari è un’esperienza particolare. L’oggetto del colloquio è naturalmente Chiara Lubich, a fianco della quale ella è rimasta per cinquant’anni come segretaria – così è sempre apparsa –, ma soprattutto come un membro del suo focolare, anche confidente e amica. Le abbiamo chiesto della preghiera di Chiara e della sua unione con Dio. La fondatrice del Movimento dei Focolari ha lasciato molti scritti al riguardo, a cominciare da tre straordinarie conversazioni intitolate Dell’unione con Dio. Ad essi Eli rimanda, mentre fa riaffiorare alcuni personali ricordi. Non si tratta di una testimone passiva e distaccata; Chiara l’ha coinvolta nella propria esperienza compiendo, con lei e con gli altri membri del suo focolare, e col cuore del nascente Movimento, un autentico "Santo viaggio"
Cielo e terra

C’erano delle preghiere che Chiara amava in modo particolare?
 
Ci ha sempre insegnato che dobbiamo recitare soltanto le preghiere dei comuni cristiani, anche perché siamo nel mondo, lavoriamo… Nello stesso tempo ricordava le parole di san Paolo: «Pregate sempre, senza interruzione» (cf. Ef 6, 18). Dovevamo dunque pregare tutto il giorno. A chi le domandava, «Come si fa a pregare sempre?», rispondeva: «Essendo sempre in unione con Dio».

Le piaceva molto il Padre nostro, soprattutto la prima parte, e l’Ave Maria, anche di questa soprattutto la prima parte perché più evangelica. Le piaceva molto anche il Gloria: quando lo recitava sentiva un rapporto con ognuna delle tre divine Persone.

Soprattutto nei primi tempi, tutti i giorni, dopo la Comunione ci si fermava in chiesa e si leggeva il testamento di Gesù, la preghiera con la quale Gesù chiedeva al Padre l’unità – quella riportata nel capitolo 17 di Giovanni – per averla sempre presente, per attuarla.

Chiara la commentava ed era meravigliata che nessuno l’avesse messa così in rilievo prima di allora.
Ma la stessa cosa era avvenuta per il Grido di Gesù nel suo abbandono sulla croce. Una volta, mentre si trovava a Baar, in Svizzera, Chiara ha sentito Gesù che le diceva: «Ho aspettato venti secoli per rivelarmi a te». Sì, Gesù le ha rivelato in modo nuovo il suo abbandono. Lo stesso padre Casimiro[1], che gliene parlò come del più grande dolore di Gesù, ha detto di non saper come quella affermazione gli sia uscita dalla bocca, non l’aveva mai pensata. Ora è entrata nella riflessione della teologia.

Così durante il Concilio Vaticano II è entrata la novità di “Gesù in mezzo” a noi, introdotta dai vescovi che erano in contatto con Chiara: Vanni, Mingo… Ricordo che le telefonavano: «Siamo riusciti a introdurre la realtà di ‘Gesù in mezzo’ assieme a tutte le altre presenze di Gesù…».
 
Un’altra preghiera tipica di Chiara era il cosiddetto “Consenserint”.
 
Lo faceva spesso, anche più volte al giorno. Gesù aveva detto che quando due o tre sulla terra si fossero riuniti per chiedere insieme qualcosa (consenserint, in latino) in suo nome il Padre l’avrebbe concessa (cf. Mt 18, 20). E lei lo faceva. Quando c’era qualche incontro o quando andava a parlare, chiamava noi di casa o altri che aveva attorno: entravamo in cappella, davanti a Gesù eucaristia, e Chiara chiedeva lo Spirito Santo. Non chiedeva qualcosa di particolare, chiedeva che lo Spirito Santo la guidasse, la illuminasse, che le facesse dire quello che doveva dire. Quando poi tornava dagli incontri diceva: «Sento una gioia», soprattutto dopo il Collegamento – la conversazione telefonica che la metteva in collegamento con tutto il Movimento diffuso nel mondo – perché avvertiva di creare tra tutti l’unità, il testamento di Gesù realizzato su ampia scala.

È la gioia, l’esperienza dell’unione con Dio che si prova dopo aver amato i fratelli, come scrive in una sua famosa meditazione: «Siamo andati ai fratelli tutto il giorno e, a sera, abbiamo trovato il Signore».
 
Dopo il Collegamento il Signore lo sentiva subito, quando usciva dalla sala, non aspettava la sera. «Sento una ‘gioiezza’ speciale», diceva; la chiamava così, non sapendo come altro definirla. Difatti era tutta contenta, luminosa.
Alcune volte, dunque, sentiva l’unione con Dio subito, come frutto dell’aver amato gli altri, altre volte più tardi, a sera…
Ma quello che soprattutto ci ha insegnato fin dall’inizio è che bisogna ascoltare sempre “la sua voce”, la voce di Dio, che si manifesta in quello che dicono i superiori, nei doveri da adempiere al lavoro, a scuola, dappertutto. Dava molta importanza all’ispirazione, alla volontà di Dio significata e a quella di beneplacito, tanto è vero che lei stessa nella vita di focolare a volte ci diceva: «Non hai ascoltato quella voce, perché se l’avessi ascoltata avresti fatto quella cosa…; oppure avresti fatto qualcosa di diverso da quello che ti era stato proposto». Ci insegnava proprio ad avere questo rapporto con lo Spirito Santo, costante, immediato.

In questo cammino d’unione con Dio il modello era Maria.

Ricordo quando Chiara ha scoperto la “Via Mariae”. Tornavano in macchina da Roma verso casa, la Villa Pacelli a Grottaferrata dove abitavamo. A un certo momento dice: «Se il nostro modello è Maria, la sua via è la nostra via». Era un periodo nel quale tra noi era venuta in rilievo la santità, la chiamata a diventare santi, e vedeva questa coincidenza tra la nostra via di santità e Maria. «Nella sua via, la nostra via», diceva mentre guidavo, ed ha iniziato a passare in rassegna, uno dopo l’altro, gli episodi evangelici della vita di Maria. Prendeva in rilievo soltanto il Vangelo, niente di più. Ha iniziato con un episodio, poi un altro… si poneva anche delle domande… Arrivati alla Villa subito ha iniziato ad esporre a quanti erano in casa quello che aveva compreso durante il viaggio, per vederlo in unità. Tra le altre persone c’era Vale Ronchetti che, ascoltando Chiara che parlava dell’Annunciazione, affermò con spontaneità: «È la scelta di Dio». E Chiara: «Hai ragione, è proprio la scelta di Dio».

Così gradualmente ha ripercorso tutti gli episodi della vita di Maria – oggi diciamo le “tappe” – sempre riferendosi alla Scrittura. Chiara infatti possedeva la Scrittura, soprattutto i Vangeli, e si rifaceva ad essi, non tanto agli studi di mariologia. C’era allora un famoso mariologo, padre Roschini dei Servi di Maria, che seguiva il nostro Ideale; lei lo aveva chiamato “Maria popa”, “Maria Bambina”. Ma Chiara era più interessata al Vangelo che agli scritti mariologici. Il Vangelo, solo il Vangelo.

Quindi l’Annunciazione; la visita a Santa Elisabetta, cioè la gioia di comunicare la nostra scelta, la nostra elezione; la nascita di Gesù paragonabile al saper generare “Gesù in mezzo”; la perdita di Gesù è l’incontro con le difficoltà, l’imprevisto; poi i 30 anni nella famiglia di Nazareth, è la vita di focolare, con Gesù tra noi; quindi l’uscita a vita pubblica, la partecipazione alle conquiste dei seguaci, alla diffusione dell’ideale; fino alla Desolazione di Maria sul Calvario: Gesù che le dice: «Donna, ecco il tuo figlio!» (Gv 19, 26), indicandole Giovanni. Come è possibile? Maria perde la sua maternità divina. Anche ognuno di noi deve saper perdere quel “Gesù in mezzo”, frutto d’un amore senza limiti, per uno spostamento di zona, di compito…
 
Chissà quante cose sono avvenute in questa macchina, mentre lei guidava. Chiara in macchina pregava?

 
Mi sembra che dal 1952, ho cominciato a guidare la macchina di Chiara. Appena salivamo mi diceva: «Niente Movimento, non parliamo dell’Ideale». Facevamo qualche giro nel centro di Roma o fuori, nei dintorni. Per lei era un intervallo, un momento di riposo, di distensione. Più tardi, mentre giravamo in macchina, ha cominciato a leggere la corrispondenza. Allora mi diceva: «Rispondi così, così…».

Quando è venuta Anna Paula a guidare io sedevo dietro con lei. Mi faceva leggere qualche relazione e prendevo appunti: «Questo sì, mi diceva, quest’altro sì…». Ma allora erano passeggiate anche lunghe, e magari suggeriva ad Anna Paula: «Continua fino a quando non abbiamo finito».

Agli inizi, quando ancora usciva con me, a volte venivano anche don Foresi[2] e Igino Giordani[3]. Andavamo ad esempio a Castel Fusano e lì si leggevano i testi del “Paradiso”, gli appunti che Chiara aveva steso durante la sua esperienza estiva del 1949. Parlava di cose bellissime, ma in quegli anni, 1952-1953, non c’era ancora il magnetofono!
 
Partecipava a queste letture, a queste conversazioni?
 
Sì, sì, stavo zitta ad ascoltare. Mi piaceva moltissimo. Ho conosciuto le realtà di quella straordinaria esperienza del 1949 dalle letture dei suoi scritti che Chiara faceva con don Foresi e Igino Giordani.
 
Andavate anche in qualche santuario? Ricordo di averla trovata al Santuario della Madonna del Divino Amore a Roma. Mi disse che la nuova costruzione le piaceva perché moderna.
 
A volte andava al Divino Amore, oppure in qualche chiesa di Roma per fare la visita al Santissimo. Cercavo in altre occasioni di portarla a vedere qualche monumento di Roma per distrarla. Lei accettava di venire, ma era più per… amore verso di me.
 
Nel diario del 14 febbraio 1971 scriveva: «Ti ringrazio, mio Dio, di questa casetta che, attraverso il Movimento, m’hai donato. Qui, anche fisicamente, vivendoci, gira e rigira si è sempre accanto a te; e questo facilita il pensarti… Tu mi dai la grazia dell’intimità con te». Nella casa di Rocca di Papa lo studio nel quale lavorava ha una porta che comunica direttamente con la cappella. Chiara usava spesso quella porta?
 
Era stata una idea dell’architetto Marabotto, quando ha costruito la casa, collocare la cappella al centro, al primo piano, perché anche materialmente fosse al centro della vita di Chiara. Non soltanto lo studio, ma tutto ruota attorno alla cappella, la sala da pranzo, la biblioteca… Chiara aveva subito approvato il progetto. Adesso la disposizione dello studio è cambiata rispetto all’inizio. All’inizio aprendo la porta della cappella la sua scrivania era proprio davanti al tabernacolo, all’altare.

Ma Chiara qualche volta l’ho vista proprio in cappella, magari scriveva stando seduta sul banco; un’altra volta passeggiava, pensando, preparandosi forse per qualche discorso.
 
Invitava, voi che stavate in casa con lei, a “tenere Gesù in mezzo”, a vivere quell’amore reciproco che porta la presenza di Gesù tra di noi?
 
Tante volte. La mattina appena usciva dalla stanza diceva: «Eli, teniamo Gesù in mezzo!», per iniziare subito la giornata insieme con Lui. Certe volte mi salutava semplicemente, ma quell’invito era sottinteso; capivo subito che bisognava mettersi nel soprannaturale, essere all’altezza della vita d’unità…

Quando invece non c’era la piena unità, quando “mancava Gesù in mezzo”, lei ce lo diceva: «Mettiamo Gesù in mezzo; come mai non c’è?» Era un invito a rimetterlo, altrimenti supponeva che ci fosse.
 
Quando giungeva qualche notizia particolare o quando doveva rispondere a questioni importanti chiedeva la vostra unità?
 
Era Chiara che risolveva le questioni, poi ci chiamava a cose fatte. A meno che fosse proprio qualcosa di molto serio; allora lei aveva una sua risposta, ma poi si confrontava soprattutto con don Foresi o con Igino Giordani, finché era in vita. Noi eravamo come dietro le sue spalle.

Ricordo quando eravamo ancora a Roma, in via Tigré. C’erano Giosi, Natalia, Aletta, Marilen[iv]. Queste quattro focolarine erano il primo fulcro con cui Chiara faceva unità. Io ero appena arrivata, e quindi facevo altre cose, rispondevo a telefono…, ma tenevo “Gesù in mezzo” nella volontà di Dio.
 
Durante la giornata parlava con voi di Dio o non ce n’era bisogno perché il clima soprannaturale era già profondo?
 
Per Chiara era importante portare avanti l’opera di Dio, lavorare per la Sua Opera. La giornata era soprattutto un susseguirsi di incontri. Ricordo quella volta in via Tigré, che Giordani, a pranzo con Chiara attorno alla tavola, magnificava i voti dei focolarini e non finiva più di parlare. E Chiara  «Cosa credi, Foco, anche i preti, anche i vergini, anche i consacrati possono andare all’inferno. Uno sposato, con tutte le croci che ha in famiglia, magari ama più Dio di tutti questi consacrati». Lui era lì che ascoltava… «Puoi fare anche tu questa donazione completa a Dio. Ti senti?». «Ma certo, Chiara; grazie Chiara». Subito è andato assieme a Marilen nella chiesa di Santa Maria Goretti, appena costruita, a fare il voto. Più tardi si è visto con la Chiesa come poteva essere possibile una consacrazione degli sposati, ma per Chiara era un vero voto, che teneva conto naturalmente della loro condizione.
 
Questi incontri erano l’occasione per comunicare la sua vita spirituale, il suo rapporto con Dio? Raccontava qualche esperienza sulla Parola di vita?
 
Più che altro si andava sempre di novità in novità. Costruire l’unità, questo era il fondamento. Chiara ci esponeva una realtà meravigliosa e il giorno dopo, o anche una settimana dopo, o un mese dopo, Chiara diceva: «Si fa un altro passo avanti». Passavamo sempre di sorpresa in sorpresa, di meraviglia in meraviglia. Poi, che ogni tanto ci dicesse qualcosa della sua anima… Ma era piuttosto raro. L’oggetto dei suoi discorsi era sempre l’Opera. Oppure ci faceva una bella ora della verità, perché non c’era l’unità come lei avrebbe voluto. Era costruire “Gesù in mezzo”.
 
Se capisco bene la luce, le intuizioni le venivano dall’“ascoltare quella voce”, dal suo rapporto con Dio. Poi comunicandole si arricchivano…
 
Relativamente. Era più lei che sviluppava le prime intuizioni, grazie all’unità con gli altri le diventavano più chiare, più spiegate.
 
Più protesa a creare l’Opera, a suscitare la presenza di “Gesù in mezzo”, piuttosto che a coltivare la propria anima.
 
La mattina faceva meditazione ed era il momento della sua personale unione con Dio, sempre attenta a cosa Dio vuole, ai passi avanti da fare per sé e per l’Opera: c’era una relazione da correggere, un focolarino da chiamare, una branca da seguire…
 
All’inizio di ogni incontro con i membri della Scuola Abbà ci chiedeva di fare insieme un “patto di unità”, e subito si raccoglieva. Bastava un attimo ed era raccolta. Ho spesso davanti a me la sua persona tutta in Dio.

Era così raccolta anche durante la giornata?
 
Sempre, direi. Quando era sola era una persona intimamente raccolta nella volontà di Dio. Si aveva molto riguardo. Stavamo attente a non disturbarla, se non spinte da motivazioni urgenti.
 
Nel suo diario ha confidato più volte questo richiamo e desiderio di stare sola con Dio. Non è in contraddizione con la sua spiritualità così fortemente comunitaria?
 
Nel rapporto con gli altri l’unione con Dio è presupposta. Prima devi avere l’unione con Dio e poi puoi creare l’unità, stabilire “Gesù in mezzo”. Non puoi tenere per te l’unione con Dio. Chiara ci chiamava nelle ore più impensate e ci diceva: «Ho sentito questo, condividete?». C’era un confronto, che anche lei voleva. Noi di casa eravamo abituate all’esercizio di non vivere l’io ma di amare, di essere sempre disponibili.

Con altri responsabili, che venivano quando li chiamava, era un po’ diverso. Esponeva loro una cosa e tutti aderivano. Raramente qualcuno faceva presente una difficoltà, proponeva qualcosa di diverso… Allora Chiara cedeva, li rispettava. Magari, dopo mesi, loro tornavano e dicevano: «Chiara, se ti avessimo dato retta, come sarebbe stato meglio fare subito quello che avevi detto! Avremmo evitato questo e questo…». Ma erano eccezioni.

Con noi del suo focolare si sentiva più libera. Ci metteva anche fuori della porta se non facevamo unità. Ma quando c’era unità anche con i focolarini, l’unità era ancora più ricca e intensa, perché ognuno porta il suo contributo, la sua caratteristica. Questo anche con le famiglie, con i giovani, con i religiosi.
 
Ad esempio?
 
Ad esempio l’apporto di mons. Paolo Hniliça[5], a cui Chiara aveva dato il nome di padre Maria, un gesuita slovacco che era stato recluso lunghi mesi in un campo di concentramento comunista. È stato il primo a fare subito il confronto tra il nostro Movimento e il comunismo reale e a capire che il carisma di Chiara era per l’oggi del mondo. Avendo vissuto nell’oltrecortina, conoscendo bene quel tipo di comunismo, aveva scoperto nell’Opera di Maria il rimedio mandato da Dio: una spiritualità collettiva che salvava la libertà dell’uomo, di fronte ad un comunismo che imponeva il collettivismo, negandogli la libertà.
 
La comprensione che l’Ideale dell’unità è risposta ai segni dei tempi viene dunque da padre Maria.
 
In maniera così esplicita, così evidente, sì. Poi il carisma dell’unità è per la Chiesa e per il mondo di oggi. Mons. Hniliça ha procurato anche la prima udienza di Chiara con Paolo VI. Padre Maria era una persona importante nella vita dell’Opera e nella vita di Chiara.
 
Uno degli strumenti per verificare il cammino spirituale e l’unione con Dio era l’esame di coscienza, per il quale Chiara aveva preparato una griglia, che chiamava gli “schemetti”. Era fedele nel riempiere questi “schemetti”?
 
Sì, sempre, fino alla fine. Li abbiamo raccolti. Li faceva in modo svelto. Qualche volta li facevamo insieme. A volte, quando la sera era troppo stanca, capitava che li facesse la mattina, appena sveglia. C’è stato un periodo nel quale occorreva rispondere alla domanda “uomo vecchio – uomo nuovo”: se durante la giornata si era vissuto nell’uomo vecchio o nell’uomo nuovo. Poi è stato tolto perché qualcuno era scrupoloso.
 
Chiara stendeva anche un suo diario, dal quale appare uno straordinario rapporto con Dio. Per chi lo scriveva, per voi?
 
Lo scriveva per sé. Poi magari, dopo un certo periodo, quando forse le sembrava – ma io non lo so – di non avere molte cose da comunicare, rileggeva il suo diario e segnava i punti da mandare ai focolarini e alle focolarine.
 
Appare sempre la stessa logica: donare il frutto della propria unione con Dio.
 
Sì.
 
Quando lo scriveva?
 
Non saprei. Lo scriveva forse nel suo ufficio, oppure la mattina presto, dopo la meditazione, penso. Io non l’ho mai vista scrivere il diario.
 
Faceva passare nella preghiera anche le grandi tragedie umanitarie?
 
Seguiva sempre il telegiornale in modo da essere aggiornata. Leggeva qualche volta l’Osservatore Romano o altri giornali, magari soltanto i titoli… Quando c’erano eventi di una certa portata, come l’abbattimento delle Torri gemelle di New York, allora a sera, quando ci trovavamo a pregare diceva: «Mettiamo nel cuore di Gesù quella situazione, preghiamo che si risolva quell’altra situazione, che ci sia la pace, la concordia…».
 
“Mettere nel cuore di Gesù”, da dove viene questa sua preghiera? Mi sembra così tipica di Chiara.
 
Quando io sono entrata in focolare già si usava. Dev’essere venuta dalla Scrittura, dalla prima lettera di Pietro: «Gettate in lui ogni vostra preoccupazione perché egli ha cura di voi» (cf. 1 Pt 5, 7).
 
Chiara ha partecipato a tanti eventi pubblici, ad esempio in Piazza San Pietro a Roma, dove erano presenti le folle. Anche in quelle circostanza riusciva a pregare?
 
Nell’attesa approfittava per salutare le persone. C’erano certe personalità che aveva occasione di vedere soltanto in quelle circostanze e ne approfittava. Ultimamente salutava alcuni suoi amici, come i fondatori di altri Movimenti. Andava da tutti, anche per prima. Poi, quando c’era la messa o il papa parlava, ascoltava intensamente. Mai ho sentito fare dei commenti. Erano autentici momenti di preghiera.
 
Ha partecipato anche al momento di preghiera con altre religioni… Che considerazione aveva della loro preghiera?
 
I suoi incontri con i membri delle altre religioni… Non finirei più di parlarne. Per esempio con i buddhisti, con Nikkyo Niwano, già nel 1981 in Giappone. Egli condivideva tutto quello che Chiara aveva detto raccontando la storia dell’Ideale, anche se adattata a loro. Ricordo che un’altra volta ha detto in pubblico: «Io sono un focolarino, io mi sento un focolarino». Chiara riusciva talmente a “farsi uno”…

Oppure con i musulmani. L’imam Warith D. Mohammed diceva: «Io sono figlio di Chiara, seguace di Chiara», e questo davanti a tutti i suoi. Quando lei aveva parlato nella Moschea Malcom X a New York aveva suscitato un grande consenso: «Dio è grande!» erano state le sue ultime parole e i musulmani applaudivano.

Perché lei cercava di mettere in rilievo le cose che ci uniscono. Questa è sempre stata la sua caratteristica.
Le relazioni più straordinarie sono state con gli hindu. Ricordo il primo incontro con una signora hindu. Eravamo durante il Concilio Ecumenico. Giordani invita Chiara ad andare al Centro “Uno”[6], in piazza Tor Sanguigna, perché sarebbe venuta in visita una signora hindu. Chiara ci chiama e ci dice: «Questi hindu sono uniti a Dio; o trovano in noi una grande unità, oppure non crederanno mai al valore del cristianesimo. Quindi dobbiamo testimoniare una profonda presenza di Gesù in mezzo a noi». Abbiamo accolto questa signora, relativamente giovane, con il suo bel sari. Parla con Giordani, con Chiara, con noi… Sarà stata con noi un quarto d’ora appena, non tanto. Uscendo, dice a Giordani, riferendosi a Chiara: «Gli occhi di quella signorina hanno Dio dentro».

Chiara ha avuto una stima enorme di questi hindu, tanto che, quando è andata in India, ha incominciato a parlare loro della sua esperienza del “Paradiso”, cosa di cui non parlava neppure con i cristiani, neppure con noi focolarini. Lì invece, subito! Ha avuto una tale considerazione dei professori che ha incontrato – naturalmente non erano persone qualunque – che si è stabilito un rapporto alto, di stima reciproca.

Dopo aver avuto queste esperienze con i buddhisti e gli hindu, quando è andata dagli ebrei a Buenos Aires in Argentina le sembravano vicinissimi. C’era un tale patrimonio comune che capiva perché il cardinal Bea aveva voluto che il dialogo con gli ebrei fosse legato al Segretariato per l’unità dei cristiani, non a quello con le altre religioni. C’era una tale differenza con le altre religioni…

Anche gli ebrei si sentivano bene con Chiara. Accettavano quello che Chiara diceva, la sua scoperta di Dio-Amore, il fare la volontà di Dio… la storia dell’Ideale come lei la raccontava… «Noi condividiamo tutto», dicevano. Erano impressionatissimi.
 
La mia domanda era limitata alla preghiera nelle altre religioni, ma lei mi ha portato nella realtà profonda dell’unità con tutte le religioni. In Chiara i membri delle diverse religioni vedevano l’unione con Dio e lei vedeva in essi l’unione con Dio. La preghiera è solo una espressione di questa unione con Dio.
 
Quando padre Carlo Boyer, gesuita, nel 1950 le aveva chiesto se il suo fosse un movimento ecumenico, lei gli aveva risposta di no. Poi varie circostanze la posero in contatto con luterani e membri di varie Chiese. Soprattutto durante il Concilio Vaticano II vi furono incontri con gli “osservatori”, con il canonico anglicano Bernard Pawley, che invitava a pranzo con Chiara altri delegati come Lukas Vischer, o Borovoj, della Chiesa ortodossa russa e altri.  Borovoj sentiva una affinità particolare con lei e ha portato l’Ideale in Russia.

Con evangelici, riformati e anglicani Chiara parlava della Parola: «La studiavano – diceva – la ascoltavano, ma la mettevano in pratica?». E raccontava loro le esperienze di questa società nuova creata dalla Parola… Lukas Vischer era strabiliato: «Lei deve venire al Consiglio ecumenico delle Chiese…». È così che si è avviato il rapporto con il CEC. Poi con l’arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey, più tardi con il patriarca Athenagoras…
 
In un suo articolo lei, Eli, ha parlato delle “notti” interiori vissute da Chiara. Secondo la teologia spirituale sono quelli i momenti di maggiore unione con Dio.
 
Quando Chiara stava passando la sua prima notte andava a consigliarsi da padre Giovanni Battista Tomasi, stimmatino, qui a Roma, in via del Mazzarino. Io l’accompagnavo, stavo fuori della porta o addirittura nell’auto. Lei ogni volta usciva contenta. Ma poco dopo mi diceva di accompagnarla di nuovo da lui. Prima era una volta la settimana, poi più volte alla settimana, sempre più spesso. A un certo punto padre Tomasi le diede un grosso libro di Giovanni della Croce, tutto dorato e lei, in macchina, ha incominciato subito a sfogliarlo. Vi si ritrovava. Si sentiva anche lei – come scrive il santo spagnolo dell’anima sotto prova – come un “ragno”, come un insetto.

Il focolare era in via Quattro Venti. Allora Roma non era estesa come adesso, c’erano ancora i campi attorno e i pastori con i greggi. «Mi piacerebbe essere quella pecora là, diceva, perché almeno non ha la volontà e agisce secondo la legge naturale». Ogni minima imperfezione la vedeva così ingigantita da sembrarle di fare peccati mortali. È proprio quello che san Giovanni della Croce descrive come notte oscura dello spirito. Chiara paragonava il suo cammino di vita spirituale con quello scritto da lui e trovava una profonda consonanza.

Ma, per descrivere la “nostra” via fa come un passo avanti: per avere “Gesù in mezzo”, che è tutta la nostra vita, dobbiamo perdere non soltanto il nostro negativo, i nostro attaccamenti, l’“uomo vecchio”, ma anche le ispirazioni, l’“uomo nuovo”; dobbiamo spostare anche Dio in noi per amore di Gesù nel fratello. Parlava di perdere Dio per Dio, per l’unità vera, cioè per Dio in mezzo a noi.
 
Durante l’ultima notte interiore in Svizzera, nel 2005-2006, quando Dio, secondo la sua stessa espressione, sembrava “tramontato come il sole all’orizzonte”, Chiara continuava a pregare?
 
Chiara non sentiva più Dio. Una volta mi ha detto: «Mi sembra di aver perso il carisma, di essere solo Silvia», non più Chiara.
 
Come Gesù che nell’abbandono si è sentito solo uomo.
 
Anch’io ho dato questa spiegazione: Gesù crocifisso e abbandonato ha amato fino a quel punto. Ma chi si trova in quella situazione non è capace di darsi questa risposta. Nonostante non sentisse più Dio, Chiara era fedelissima alla Messa, alle preghiere della mattina, prima di pranzo… sempre, sempre, direi più che mai. Prima, qualche volta, forse nell’apostolato, quando faceva i discorsi, le capitava di saltare qualche pratica di pietà. Invece alla fine era fedelissima e con una ampiezza nuova, che andava oltre l’Opera, oltre il cristianesimo, oltre tutto. Nelle sue preghiere ultime – Chiara faceva sempre preghiere spontanee dopo la Comunione – aggiungeva, per esempio: «Per tutti i moribondi del mondo, per tutti i peccatori»… Continuava a pregare pur vivendo in sé questa notte terribile.

L’ultima volta che l’ho incontrata in ospedale è stato una settimana prima della sua morte. Mi ha dato la sua benedizione per tutte le persone che avrei incontrato a Cuba, mi ha assicurato la sua unità, mi ha detto “Arrivederci”. Come ultimo gesto d’amore, pur essendo in una estrema prostrazione fisica, ha avuto la forza di alzare la sua mano perché non mi chinassi a baciargliela…
 
Parlando con Anna Paula le aveva detto: «Avvertimi quando viene l’ultimo momento». Poi c’è stato quel momento straordinario dell’11 marzo. Eravamo Anna Paula da una parte e io dall’altra del suo letto. A un certo momento cerca di togliersi la mascherina dell’ossigeno e dice: «La Madonna!». Guardava in un punto preciso in fondo al suo letto. «Cosa dici Chiara?». E lei più forte: «La Madonna!». È durato alcuni minuti. Più tardi ho avuto il coraggio di chiederle: «Ti ha detto qualcosa?». «Ma va là», come per dire che si trattava della sua presenza.

E quella sera ho pensato che dovevo dirle che ormai era giunto il suo momento. Mi è venuto di parlare così bene del Paradiso, di come Chiara l’aveva visto, di come ce lo aveva comunicato – non come una cosa statica, ma sempre nuova –, e lei mi ha sorriso, come per dire: “Che gioia andare nell’Aldilà”. Era una preparazione festosa all’incontro reale con Gesù.

Fino ad allora le applicavano delle terapie molto dolorose che la facevano soffrire, ma da quel momento non ha avvertito più nessun dolore. Il giorno seguente siamo tornati a casa, perché voleva morire a casa. Ci aveva detto  più volte: «Torniamo a casa». Forse non era solo la casa di mura…

Arrivate a Rocca, la sera si è sparsa la voce che Chiara stava morendo e tanti sono venuti per salutarla. Ultimo Peppuccio[7], che ha avuto il coraggio di dirle: «Chiara stai per entrare in Paradiso per non uscirne più». Chiara ha risposto: «Sì», forte. Questa è stata l’ultima sua parola.

Siccome la pressione scendeva sempre più, abbiamo cominciato a dire il Rosario attorno a lei. I medici dicevano che, a causa della situazione respiratoria, la morte sarebbe stata molto dolorosa, invece è stata dolcissima.
 
L’ultima parola di Chiara è stata “Sì”, come la prima, quando ha iniziato la sua avventura, il 7 dicembre 1943.
 
Riguardo a questa “avventura”, ho l’impressione che non emerga ancora tutta la grandezza del carisma di Chiara. Basterebbe il solo fatto che nel Movimento c’è la presenza dei religiosi per mostrarne la grandezza; oppure che a capo del Movimento, che pure raccoglie sacerdoti, religiosi, vescovi, per Statuto vi è sempre una donna. Quest’ultimo fatto testimonia il profilo mariano che l’Opera di Maria è chiamata a evidenziare nella Chiesa.

Quando si diceva che volevano fare cardinali Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich, Chiara non ne era contenta, perché voleva che emergesse questo profilo mariano, carismatico, la grandezza di Maria nella Chiesa. Come non ricordare l’accostamento fatto da Giovanni Paolo II, quando venne in visita al Centro internazionale dell’Opera, tra la Chiesa postconciliare e l’Opera di Maria?

Allorché nell’ultimo anno venivano a trovarla personalità di altre religioni o del mondo dello spettacolo, Chiara si trovava benissimo con loro. Sentiva di aprire gli orizzonti e di arrivare dove la Chiesa istituzionale non poteva arrivare, poteva aprire un dialogo fiducioso profondo e libero anche essendo donna.

(a cura di Fabio Ciardi, o.m.i.)



[1] Casimiro Bonetti, ofmcap, agli inizi degli anni Quaranta a Trento è direttore del Terz’ordine francescano, nel quale entra Chiara Lubich. Divenne anche suo direttore spirituale.

[2] Pasquale Foresi, il primo focolarino sacerdote, per molti anni co-presidente dell’Opera di Maria.

[3] Igino Giordani (1894–1980), giornalista, scrittore, deputato, conosce Chiara Lubich nel 1948 e ne diventa uno dei più stretti collaboratori, co-fondatore dell’Opera di Maria.

[4] Giosi Guella (1923-1995), Natalia Dallapiccola (1924-2008), Vittoria “Aletta” Salizzoni, Marilen Holzhauser (1920-1986) sono alcune delle prime compagne di Chiara Lubich.

[5] Pavel Hniliça sj (1921-2006), ordinato vescovo nel 1951, conosce Chiara nel 1953 in una Mariapoli.

[6] Il Centro “Uno”, segreteria internazionale per il dialogo ecumenico del Movimento dei Focolari, è fondato da Chiara Lubich nel 1961 che ne affida la direzione a Igino Giordani.

[7] Giuseppe Maria Zanghì, focolarino, per molti anni collaboratore di Chiara Lubich in particolare per l’aspetto culturale del carisma dell’unità.

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